mercoledì 31 dicembre 2014

I buoni propositi

Me li chiede il capo, i buoni propositi per il nuovo anno. Rispondo che il mio anno inizia a settembre, a gennaio seguo il calendario ma preferisco sempre quello scolastico, il diario vince sull'agenda, pure se in ufficio ho lottato per ottenere quella di carta, perché sono una tradizionalista e altrimenti con la nuova penna stilografica che ci faccio? E così mangio cioccolata e mi dileguo.

Coi buoni propositi però a Capodanno ci gioco, provoco gli amici, stasera li lancerò dalla finestra, li riprenderò nel corso dell'anno e mi dirò che non ne ho seguito nessuno. Forse uno, quello che comincia ogni volta che mi abbasso e cambio prospettiva, non più alta ma bassa, non più aria ma terra: lo faccio a ginnastica per distendere la schiena, per respirare meglio con la pancia, per sciogliere tensioni. Lo faccio e torno piccola sulla coperta in cui giocavo a palla ed ero palla io stessa. 

Ed ecco il proposito, sentirsi totalmente immersi nell'attività che si sta facendo, la scrittura come la corsa o come l'attesa dell'autobus... perfino! Radicati al suolo pure se è sporco e si respira smog, e quando si è stanchi alzarsi e spostarsi, andare via, lasciare e ricominciare. Da piccola era la prima minestra e gli spaghetti per cui andavo matta, l'arrivo di mio padre dal lavoro la sera, la musica in casa. Era quell'alzarsi e immergersi ancora in un'altra cosa bella che appariva sempre nuova.

Buon anno.




venerdì 26 dicembre 2014

Natale, se non è solo per spot

Mai avrei pensato che l'anziano prete che celebra la messa avrebbe tirato fuori, proprio all'inizio dell'omelia della notte di Natale, uno spot pubblicitario, la Grande Guerra, il segno di pace. Va be', il segno di pace sì. Non sono sicura che tutti abbiano compreso l'intreccio - eravamo tanti, mancavano le fonti del discorso, l'audio può fare cilecca -, ma le premesse per uno storytelling crossmediale c'erano tutte.

Si parte dal video pubblicitario che la catena di supermercati britannici Sainsbury ha realizzato per vendere tavolette di cioccolata: tre minuti di una storia vera di tregua tra gli eserciti inglese e tedesco che nel 1914 si combattevano sul fronte belga e che decidono di darsi ore di pace, celebrano una messa, giocano a pallone, si scambiano doni e strette di mano. Nello spot il dono è la tavoletta di cioccolato che il soldato inglese aveva ricevuto per posta poche ore prima da casa e che il soldato tedesco si ritrova in tasca. Payoff, “Christmas is for sharing” e marchio del supermercato in chiusura.

Si ricorda che è una storia vera, testimoniata dalle lettere che i soldati scrissero poi alle famiglie raccontando con stupore e gratitudine l'episodio partito dal basso, cioè da loro stessi, senza nessun ordine superiore anzi condannato dai generali, in modo spontaneo.
Prima pagina del Daily Mirror sulla tregua di Natale del 1914 fra inglesi e tedeschi

"Alle 4 del mattino la loro banda suonò alcuni canti, “God save the King” e “Home Sweet Home”. Puoi immaginare le nostre sensazioni. Più tardi vennero verso di noi, e i nostri uscirono per incontrarli. Nessuno di noi portava il fucile. Ho stretto le mani con alcuni di essi, e loro ci hanno dato sigarette e sigari. Non abbiamo sparato un colpo quel giorno. Abbiamo approfittato di quel giorno di quiete, guadagnando tempo sulla morte".


Fuciliere J. Reading. Lettera pubblicata sul Bucks Examiner l’8 gennaio 1915

Chi si è messo sulla traccia delle lettere è Antonio Besana, manager di una multinazionale che nel 2005 vede il film Joyeux Noël, di Christian Carion e vuole saperne di più, tanto da tradurre le lettere e mettere a disposizione una piccola e preziosa parte di una storia più grande e molto più triste. Eh già, perché lo spot parte dalla realtà e passa dal cinema, è furbo e fa commuovere, ha fatto ricerca e ha messo insieme strati di realtà e desideri, complimenti.

Intanto il racconto di Natale nella parrocchia di periferia a Roma va avanti, sottolineando il coraggio di tornare alla verità di esseri umani grazie a un Dio umano; siamo sempre di più e fa caldo, qualcuno si toglie la giacca e qualcun altro si siede per terra, appropriazione debita di suolo comunitario. Si canta in italiano mentre nello spot puoi imparare Stille Nacht e Silent Night a rime alternate.



domenica 30 novembre 2014

Audio storytelling, stavolta è Attesa

Oggi prima domenica d'Avvento mi ascolto tre storie radiofoniche del programma Re:Sound del Third Coast Festival, che cerca, raccoglie e ripropone le migliori audio storie realizzate in tutto il mondo.

The Waiting Show mette insieme In Line With Saturday Night Klein, di Sean Cole, del 2007; The Bus Stop, di Lulu Miller, del 2010 e Four Failing Lungs, di Catie Talasrki del 2011.

C'è chi si è preso il compito di far rispettare la fila davanti al Rockefeller Center a New York per lo spettacolo Saturday Night Live, nella prima storia, chi aspetterà per sempre l'autobus, nella seconda, chi invece aspetta il trapianto di un polmone, nella terza storia.

E quindi, Che suono ha l'attesa? Per rispondere alla domanda, anche un mio cortoascolto di due anni fa, originale in tedesco per il Berliner Hoerspielfestival e versione in italiano per tutti.

Buon ascolto e buon attesa;-)





venerdì 28 novembre 2014

Valore D, punto della situazione

Il 19 novembre sono stata alla Luiss di via Pola a Roma in ascolto delle donne manager al terzo Forum Nazionale di Valore D

L'associazione di grandi aziende nata nel 2009 per promuovere il ruolo della donna nell'impresa e spingerla ai vertici, donna e impresa, ha chiamato a raccolta imprenditrici, ministri, direttori del personale, consulenti.

Interessante perché il fatto di essere femmina si dava per scontato e ci si concentrava su come migliorare l'Italia tutta, dentro e fuori i confini. Interessante perché la collega più preparata e dall'approccio scientifico che avevo accanto si emozionava a scoprire la storia di donne di successo in ambito privato e pubblico, donne che avevano avuto più opportunità di me e lei, certo - chi imprese ereditate, chi l'inglese e i viaggi facili - ma non importa, vincono determinazione e merito e coraggio. E mentre lei si riempiva gli occhi e le orecchie di facce e di nomi, un'altra doveva lasciare la sala anzitempo per riprendere il figlio a scuola e un'altra aveva già lasciato il dolce al buffet perché richiamata in ufficio... Ed ecco lui, ancora una volta, sempre al maschile l'impedimento che invece è risorsa straordinaria per fare cose straordinarie senza ansie e traffico mentale, se solo lo si lasciasse stare: il tempo.

Il tempo di una stretta di mano e due sorrisi e via verso altre sale, incontri, consessi umani, famiglia certo, progetti comunque. Quanta fiducia ripongo allora nella ricerca McKinsey presentata da Giorgio Busnelli, in pratica la dimostrazione che i servizi pensati per il benessere del dipendente portano un misurabile beneficio economico anche alle aziende e che tra questi quello più richiesto è semplicemente, banalmente, il bene più prezioso, sempre lui, il tempo, leggi flessibilità di orario. Che non è part time o telelavoro, non è un lavoro flessibile ma gestione responsabile del lavoro valutato per obiettivi e questioni di merito. Il gelato era proprio buono, peccato che la collega non abbia fatto in tempo ad assaggiarlo.

Questo il programma della giornata e sui tweet accanto alcune istantanee fra foto, link e grafici. E scoprite come proprio su Twitter @Ale_Nigro abbia sintetizzato in un disegno il workshop sul welfare a cui abbiamo partecipato:-)



domenica 16 novembre 2014

La regina del podcast

Ha ricevuto la menzione speciale al Prix Italia e al Prix Europa di quest'anno. Il documentario audio di Charlotte Bienaimé si chiama La reine du podcast e lo sto ascoltando su Arte Radio, meraviglioso.

Le parole ricorrenti sono sorpresa e stupore, quelle dell'ottantaduenne Colette Bertin che racconta la storia di una raccolta sonora che passa con disinvoltura dai pigmei Aka alla scuola alle gocce d'acqua e quelle di noi ascoltatori che la ringraziamo per aver inventato il podcast prima che fosse podcast.

La raccolta sonora dura una vita ed è stata fatta con le vecchie care audio cassette - alzi la mano chi non riconosce il suono secco del rec e play - e la radio da cui provengono i suoni.

"Ça passe par l'oreille mais ça va plus loin que l'oreille".

Mi sarebbe piaciuta un'insegnante di musica come Colette Bertin, che registrava la radio e faceva scoprire ai suoi allievi il piacere del suono, quindi dell'immersione nella realtà.

16 minuti e 27 secondi di buon ascolto;-)


lunedì 10 novembre 2014

Elogio (funebre) di un albero


Sabato mattina ero all’Alberone, quartiere a sud est di Roma, dove fino al giorno prima, il 7 novembre, a via Gino Capponi angolo via Appia Nuova, c’era un grande albero a fare ombra e da punto di riferimento di tutta la zona. Era stato piantato nel 1986 in sostituzione di quello storico che aveva dato il nome al quartiere. Sotto la pioggia battente il grande leccio non ce l’ha fatta, sono rimaste le radici ad ancorarlo a terra, il tronco s’è aperto, la chioma è finita giù e ha fatto pure male ai passanti.

Insomma, sabato mattina ho visto quello che è rimasto, un tronco segato, fa impressione. La cosa più impressionante, però, sono stati gli abitanti del quartiere che, ancora una volta, si sono ritrovati a chiacchierare sotto l’ombra che non c’è più a parlare di lui, dell’albero, dei suoi odori e della sua forza: sembrava l’elogio funebre per l’amico scomparso anzitempo, quello che segna l’infanzia e c’accompagna in ogni altra stagione di vita.


Nel quartiere "Alberone" (Appio Latino), Roma
Ho chiacchierato anche io con loro, prima a bassa voce, per non disturbare un ambiente che non conosco, le loro confidenze, poi sfacciatamente tirando fuori il cellulare con l’auricolare: in diretta per la trasmissione radiofonica Roma… ti amo!, su Radio Città Futura, ho conosciuto il barista Luciano, “la signora che capava i fagiolini”, Mario l’escursionista e quelli che erano seduti accanto a lui, tutti innamorati del loro quartiere e dell’albero che non c’è più ma che vogliono sia ripiantato e soprattutto conservato in vita, stavolta. Tutti ci hanno invitato a rimanere, parlare, scoprire pezzi di Roma che va al mercato, si gode di nuovo il sole, chiede alla badante di dare due spicci all’artista di strada e alla giornalista di tornare a fare due chiacchiere perché è bello. Grazie.

Qui l’audio delle “quick chat” prima delle interviste al mercato e al bar.

“Ogni volta che si entra nella piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo”
Italo Calvino, Le città invisibili


domenica 9 novembre 2014

The Berlin Wall of Sound

Oggi facciamo un esercizio di lingua e di storia.
In tedesco l'audio di un'abitante di Berlino Ovest, nata e cresciuta ai tempi del Muro. Oggi è il 25° anniversario della caduta del muro che divideva in due la città. Oggi voleranno via gli ottomila palloncini che sembrano lampioni e che percorrono 15 km sulle tracce del Muro di Berlino: sono stati accesi venerdì dal sindaco Klaus Wowereit che ha dato il via alle celebrazioni per i 25 anni dalla caduta del confine che divise la città per 28 anni.

Berlino, la Porta di Brandeburgo col "muro" di luce 

Katrin, la voce del contributo audio, ci dice che quando era piccola nella sua famiglia non si nominava la DDR ma si parlava piuttosto di "zona" e comunque l'argomento era una specie di tabù. Non capiva il senso della divisione della Germania in due parti e quando col padre andò a Berlino Est passando per quella che era una frontiera, il padre le disse che non si trattava di entrare in un altro paese "Wir fahren nicht in ein anderes Land": la Germania era comunque una. Il Muro, da vicino, faceva paura.

E Soundcloud.com, la piattaforma di condivisione audio fondata proprio a Berlino, festeggia la caduta del Muro con una traccia audio di 7 minuti e 32 secondi, il tempo che percorreva un'onda sonora lungo tutto il muro, 155 chilometri. Nome della traccia audio, The Berlin Wall of Sound. Dentro la traccia le voci, le grida, i rumori di quello che accadeva addosso al Muro.






giovedì 6 novembre 2014

Elogio dei piedi


Nel post precedente raccontavo un'altra esperienza del sentire, quella che passa per una riabilitazione motoria e finisce con la costante definizione di un nuovo equilibrio, affascinante.

Oggi riscopro questa poesia di Erri De Luca e la ripropongo qui, mi piace un sacco.

Elogio dei piedi

Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

mercoledì 5 novembre 2014

E’ tutta questione di equilibrio

E’ iniziato tutto con un infortunio al ginocchio, una contusione banale, una sorpresa estiva diciamo. Un trauma, in effetti. Peccato che il riposo e la ginnastica successiva non abbiano avuto successo e che intanto il corpo smetteva di agire ma reagiva, che è diverso, e si difendeva. Insomma, dopo diversi mesi in cui camminavo col dolore e con le ginocchia che pareva sostenessero chili che non ho, sono ripartita dalle basi, cioè dai piedi, per poi fare il viaggio al contrario: risalire, allungare, sentire il corpo che prende consapevolezza di sé e di come sta nello spazio. E ho scoperto che la ginnastica che faccio si chiama proprio… propriocettiva.

“La sensibilità propriocettiva è una qualità che può essere allenata ed ottimizzata con l'esercizio fisico, ma che perde facilmente di efficienza con l'inattività. La sensibilità propriocettiva può essere pure danneggiata da un trauma. Una distorsione, un danno articolare che interessa i legamenti o un intervento chirurgico possono compromettere la funzionalità di ginocchio e caviglia, articolazioni ricche di terminazioni propriocettive”.

Leggo su internet e sorrido, penso a me durante gli esercizi con l’elastico, la palla, sempre troppo rigida anche da piccola eppure di nuovo elastica se me ne dai l’occasione. Alla ricerca di equilibrio e del giusto tono, e non è una metafora stavolta. Stupita di riuscire a stare in ascolto della respirazione che cambia e di scoprire un muscolo che non sapevo di avere, perfino.

Ecco, stavolta le parole sono senza cuffie, ancora poche perché non voglio disturbare il nuovo assetto che si riforma, il piacere di stare sul pezzo così come su entrambi i piedi, le estreme possibilità di conoscenza, dando a entrambi il giusto peso.


lunedì 27 ottobre 2014

Una mostra da ascoltare al Maxxi di Roma


Ieri pomeriggio sono andata al Maxxi per ascoltare la mostra Open Museum Open City. Eh già, perché il museo si è svuotato di altre opere per lasciare spazio ai soli suoni, cioè alle installazioni che li facevano vibrare tra le sale. Eppure a me non ha dato il senso del vuoto, semmai del pieno: solo ora che ne scrivo penso che ho visto poco a fronte di una ricca esperienza uditiva domenicale che inizia già da fuori.


Si sentono martelli battenti, tracce audio che si sovrappongono - sono ben 47 e dentro c'è il lavoro degli scalpellini così come i colpi secchi di martello e scalpello -, s’intuisce uno spazio e un tempo lontani che ti entrano nelle orecchie. E’ Doing, di Lara Favaretto, omaggio al lavoro operaio, di fatica e ripetitivo, ti piace e ti disturba. Ma il suono all’ingresso è anche quello dell’acqua in Sonica Mappings, di Bill Fontana, che ha raccolto i suoni dell’Acquadetto Vergine a Roma e che apre il museo alla città che lo ospita.

La mostra è organizzata per temi a più livelli, alterna le chiacchiere di quartiere ai suoni di una rivolta in piazza, alla scomposizione di una melodia nota. Non sono brava a scrivere quello che ho sentito... Open Museum Open City merita una visita, anzi un'immersione sonora.




sabato 4 ottobre 2014

Tre però per il prof De Masi

Renzi oggi dichiarava "c'è da riparare il mondo del lavoro", ieri io finivo di leggere Il futuro del lavoro, saggio del sociologo Domenico De Masi del 1999.

E la premessa De Masi la mette alla fine:

"Questo libro, che tratta di lavoro organizzato, nasce dal mio odio per la fatica fisica o intellettuale che sia, dalla mia insofferenza per le organizzazioni piramidali e per i capi di qualsiasi genere, dalla mia frustrata aspirazione all'ozio".

E noi l'avevamo capito, prof De Masi, e siamo pure con lei. Però. Però qui non si vive ancora il tempo liberato dal lavoro di cui lei individua i tratti principali in questa nostra società postindustriale, la fatica c'è eccome ed è sia fisica sia intellettuale, quando il tempo è tanto coincide con la disoccupazione che non fa piacere e non spinge alla creatività, tempo di lavoro e tempo di non lavoro non coincidono nella testa e nelle organizzazioni di cui facciamo parte, alcuni di noi almeno, tanti altri il tema non lo sentono proprio.

Però. Però io voglio crederle e metterò alla prova le mentalità vecchie con le possibilità nuove offerte da questi nostri tempi incerti, voglio rischiare di fraintendere lavoro e ozio, di non distinguerli più, di lavorare e giocare insieme, lo sto già facendo. Di celebrare riti in cui resto consapevole e che scelgo liberamente, per esempio la mensa aziendale tutti insieme alla stessa ora.

Però. La invito allora a prendere con me e con centinaia di altre persone la metropolitana di Roma alle 8.00 di mattina e a chiedere a tutti se quel giorno in cui noi due sceglieremo di andare avrebbero potuto lavorare da casa liberando tempo, ossigeno, ingegno dalle loro teste, computer, organizzazioni. E' solo un esempio.






domenica 21 settembre 2014

La parabola del lavoro

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Per la prima volta da quando sento questa parabola, stamattina in chiesa ho temuto ci fosse qualcuno che volesse strumentalizzarla. Forse lo ha già fatto.

Buona domenica.


venerdì 19 settembre 2014

Supermercato e The Truman Show

Mentre governo e sindacati discutono sulla riforma del lavoro e finalmente se le dicono senza ipocrisie, qualche giorno fa io sono andata in un supermercato poco fuori città aperto da poco. Non volevo comprare, però, almeno non come prima cosa, ma fare la sorpresa a un amico che non vedevo da anni. E la sorpresa me l'ha fatta lui raccontandomi un mondo che non conosco, quello della GDO, la grande distribuzione organizzata e di come lui lì dentro ci stia proprio bene. Tensioni e imprevisti compresi, naturalmente, altrimenti non saremmo umani ma spot pubblicitari, scusate pubblicitari.

Mentre ogni giorno mi risuonano le difficoltà e i lamenti degli amici alle prese con la precarietà organizzativa e sentimentale pure se hanno un posto fisso a casa e sul lavoro, mi riporto a casa una faccia stanca ma convinta che sia possibile costruire anche se un'azienda non è la tua, scegliendo colleghi che non devono per forza essere amici, acquisendo diritti tra i reparti e trovandoli nel contratto, insieme, alla faccia di Renzi e della Camusso.

Certo, il rischio di ogni organizzazione stringente è un po' The Truman Show, cioè un mondo parallelo e controllato, dove ti par di essere felice ma neanche la "go pro" la porti in testa tu. Diceva il regista nel film: "Ascoltami Truman, là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te...". Insomma un mondo chiuso, sua forza e sua salvezza.

Ed ecco la necessità di aprire quel mondo, cioè raccontare l'ambito e le persone, non i prodotti che già hanno la loro pubblicità e i loro scaffali, provare a scardinare certezze e barattoli mantenendo il sorriso e il clima sereno e portarli fuori, alla prova con gli altri mondi reali. Ché altrimenti anche la riforma del lavoro interessa solo a pochi, l'articolo 18 è una merce, le tutele crescenti sono come le crema solari ad esposizione progressiva prima di mettersi al sole, accanto ai parei ma pochi si possono permettere il mare.




giovedì 18 settembre 2014

Co.Co.Co. Condomini, Cortili, Condivisione

Il mio audio documentario Condominium va in trasferta. E' stato infatti selezionato tra i cortometraggi al concorso Co.Co.Co. Condomini, Cortili, Condivisione di Festambiente-Mondi Possibili e lunedì 22 settembre dalle 22.00 sarà ascoltato al Parco Simon Bolivar zona Montesacro/Sempione, a Roma insieme ad altri interessanti titoli selezionati.

L'idea dell'iniziativa in generale e dell'audio doc in particolare è smuovere la pigrizia cittadina, affacciarci sul ballatoio a chiacchierare, condividere spazi e intenti.

L'orario e il giorno sono difficili, spero nella sorpresa e in coloro che abitano in zona. Mi auguro soprattutto che venga riconosciuta la scelta di farlo gareggiare audio tra i video, per questo fuori concorso, per questo già mi piace tanto. 

Durante la serata verranno comunicati i 3 vincitori (miglior film, premio originalità, miglior attore/attrice) e si terrà la votazione per il quarto premio, quello del pubblico.

Festambiente Mondi Possibili inizia domani, venerdì 19, e si conclude domenica 28 settembre.

Ci vediamo lì;-)


lunedì 8 settembre 2014

90DB – Festival internazionale delle Arti Sonore

Installazioni, concerti, laboratori legati alle arti sonore. Accade da giovedì 11 a domenica 14 settembre 2014 nel Parco dell’Appia Antica di Roma, più precisamente negli spazi dell'Ex-Cartiera Latina.

Si tratta della seconda edizione di 90dB–Festival Internazionale delle Arti Sonore, una rassegna dedicata alla sound art, alla digital art e alla sperimentazione sonora, a cura dell’Associazione culturale moorroom, con 21 artisti provenienti da tutto il mondo che indagano il rapporto fra suono, ambiente e innovazione.

E cosa significa tutto questo? Non lo so, l'unico modo per scoprirlo è andare, almeno in uno dei giorni della manifestazione che è a ingresso libero, è adatta a grandi e piccoli con laboratori e visite guidate, si trova in un posto bellissimo a Roma, chiude l'Estate Romana in modo originale.

Chi va? Chi viene?







lunedì 25 agosto 2014

Le città visibili e quelle invisibili

- D'una città non godi le sette o le settanta meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. 
- O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.


E' esattamente così che sono tornata da Amsterdam questa estate. Con il libro Le città invisibili di Calvino sotto il braccio, comprato nella libreria dove mi ero rifugiata per un acquazzone improvviso, sempre rubato a qualcuno ma mai letto davvero. L'ho fatto nella camera d'albergo e all'aeroporto, sulle panchine per strada in qualunque altra città mi sono trovata.
M'è sembrato, quel giorno, il modo migliore per capire la città, la struttura reticolare del centro che somiglia a una tela di ragno dove rischiavo di rimanere impigliata se non ne avessi preso possesso riconoscendo, alla fine, che io sono fatta alla stessa maniera.



domenica 24 agosto 2014

Dispense di carta in pinacoteca

Pomeriggio da turista a Roma, la mia città. Sono in centro e mi fermo a piazza Capo di Ferro, nel Rione Regola, e palazzo Spada, che non conoscevo, dove ha sede il Consiglio di Stato. Entro o non entro? Mi fermo davanti al pannello imbrattato e comunque poco leggibile che il Comune di Roma ha esposto poco più avanti e che descrive la storia del Palazzo: entro perché mi fido dell'architettura di Borromini più che della scrittura del Comune.

E così scopro la galleria con la falsa prospettiva: oltre il giardino dei melangoli, le arance amare, due file di doppie colonne una più stretta rispetto alla precedente e una pavimentazione con un motivo rettangolare che si va restringendo creano l'illusione dei piani che convergono in un unico punto di fuga: la galleria sembra lunga circa 35 metri, in realtà è lunga 8,82 metri. Diavolo di un Borromini, e di Giovanni Maria da Bitonto, che la costruì in un anno, tra il 1652 e il 1653.

Palazzo Spada, la falsa prospettiva di Borromini.
Foto A. Rapone
Al primo piano del palazzo i quadri della collezione del cardinal Bernardino Spada, e la seconda scoperta del turista ignaro. Ci sono quattro sale con opere interessanti come quelle di Artemisia Gentileschi, per dirne una, e cosa offre la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e del Polo Museale della Città di Roma, insomma il MIBAC? 

Dispense di carta, in italiano e nelle lingue europee a noi più note. Poggiate sui mobili e sugli arredi delle sale, riportano il numero che a ogni quadro è stato posto accanto, il nome dell'autore e il titolo dell'opera. Nei casi ritenuti più importanti anche la spiegazione.

Vuoi la carta, vuoi l'illuminazione artificiale che contrasta con la luce naturale, guardare le opere è faticoso e il gioco di abbinamenti fra i numeri della dispensa e quelli sul muro stanca e imbarazza. 

Direttrice Maria Lucrezia Vicini, facciamo qualcosa? Ho sfogliato con interesse il libro rosso su cui lasciare un pensiero e la firma: italiani e stranieri ringraziano del prezzo basso d'ingresso, 5 euro, e lamentano l'illuminazione non adatta e la difficoltà a capire il patrimonio che ci circonda. Troppo costose le audio guide? Inutili pochi pannelli curati nel testo e nella grafica? Impegnativi appassionati cultori della materia che siano anche custodi delle sale? Capisco, anzi no. 

E poi, dal 1 giugno scorso è entrato in vigore il "decreto Franceschini", per cui si possono fotografare le opere di proprietà pubblica nei musei statali di Roma, fra cui la Galleria Spada, appunto. Dunque perché ci sono ancora cartelli col divieto e il personale lo impedisce?







Diario di un maestro oggi

Non avevo mai visto Diario di un maestro, lo sceneggiato Rai degli anni Settanta in cui l'attore Bruno Cirino non sembra un attore ma un maestro vero, per cui il regista Vittorio Della Seta realizza poi un film documentario per il cinema, grazie a cui ascolto con piacere ora su Rai Premium le storie dei ragazzi e della borgata del Tiburtino III a Roma. Soprattutto, non avevo mai letto Un anno a Pietralata, dello scrittore e insegnante Albino Bernardini da cui cinema e tv prendono spunto.

Quello che mi colpisce è semplicemente il tempo. Quello che il maestro dedica ai ragazzi per riprenderli dalla strada e fargli scoprire in classe e di nuovo in giro per Roma che nessuna esperienza di vita va persa. Va però riconosciuta, osservata a distanza di anni, messa insieme alle altre e anche portata in classe.

E oggi? Oggi cioè quest'anno è uscito il film La mia classe, in cui gli studenti di ieri delle borgate sono i ragazzi immigrati e il maestro è Valerio Mastandrea. Quello che mi è piaciuto, oltre al film, è questa intervista alla sceneggiatrice Claudia Russo.


lunedì 18 agosto 2014

Ad Amsterdam col registratore

Ho portato il registratore per farmi compagnia, è questa la verità. Ci sono andata da sola, anche questa è la verità, con la presunzione, che fa rima con disperazione, che persone e storie le avrei incontrate comunque: estrema fiducia nella città reticolare, nella Provvidenza, nella parola "occasione" che quest'anno ho capito cos'è, non appunto solo una parola.

E ad Amsterdam il registratore l'ho acceso, un giorno e anche quello successivo, ho messo le cuffie e ho iniziato a pensare in un'altra lingua.

Con 16 gradi ho dovuto far finta di non sentire il sudore sulla maglia per aver interrotto il lavoro di un lavavetrine e la felicità per aver rotto il ghiaccio, quasi senza che fosse una metafora. Ho continuato nei negozi e al mercato a fare domande sul tema lavoro per un prossimo lavoro audio sul tema, ma non è questa la cosa importante.

Foto A. Rapone, vetrina libreria Athenaeum
Gli olandesi sono concentrati mentre corrono in bici e scelgono cosa comprare al mercatino delle pulci, non ti chiedono chi sei e dove andrà a finire la loro voce, in un certo senso non ti osservano ma si fidano, sono lusingati e abituati a essere internazionali, restano imperscrutabili. E capita che alla prima e più facile domanda "What's your name?" l'astuto venditore di roba usata risponda convinto "My name is Nobody".

Ancora una volta il registratore è stato il mezzo per entrare in contatto con persone diverse in diversi contesti, per uscire dalle difficoltà di sentirsi straniera pure se turista e quindi non in crisi di identità, per giocare con la lingua inglese che faceva da ponte tra l'italiano e l'olandese. Divertente e molto interessante.

Non vedo l'ora di realizzare il documentario audio per dire ancora grazie alle persone che hanno accettato di fermarsi per parlare con me.







giovedì 7 agosto 2014

Il tempo di lavoro... fuori ufficio

Passando da Facebook a Linkedin, dallo svago al professionale se vogliamo, leggo l'articolo Out of Office di Fabio Salvi, che lavora nelle risorse umane e che a quanto pare le considera davvero risorse, e soprattutto umane.

Mi spiego, il nocciolo della questione è ancora una volta il tempo di vita e il tempo di lavoro, per cui le aziende si rompono la testa per cercare una "conciliazione" che nell'articolo, negli esempi europei come Germania e Olanda e nella testa di molti, è già possibile non facendo dipendere la produttività dalle ore lavorate ma dai risultati raggiunti. "Ore lavorate", leggi ore trascorse in ufficio, ché non sempre la timbratura prima e dopo coincide col fare, né col pensare.

Insomma, si tratta di un investimento in responsabilità condivise, in partecipazione, in fiducia. Senza perdere il controllo dei tempi e delle attività ma al contrario con un maggiore tempo dedicato alla pianificazione e all'organizzazione del lavoro così come alla misurazione degli obiettivi. Forse sta qua il primo inghippo da superare, la tendenza a lasciare che tutto scorra come sempre è accaduto e chissene se il Pil non cresce, se poi ho l'ansia nel fine settimana o se leggo le mail di lavoro tutto il giorno o la notte che sia.

Il secondo inghippo è di tipo culturale ed è la difficoltà a superare un modello di lavoro basato solo sugli orari e un modello di vita in cui solo se si torna a casa stanchi e stropicciati si è stati produttivi e utili, a chi?

E' il tempo il bene più prezioso e noi continuiamo a maltrattarlo e quindi a farci del male. Abbiamo paura di essere presi per fannulloni, o rivoluzionari, o idealisti, ci vergogniamo anche solo di pensare ad altri riferimenti e stili di vita possibili, dentro o fuori ufficio. E ancora una volta perdiamo tempo.

Domani scriverò anche io "Out of Office", fuori ufficio, in vacanza.





giovedì 24 luglio 2014

L'audio nel museo. E Pasolini da Roma a Matera

Fino al 9 novembre Matera dedica una mostra a Pier Paolo Pasolini per celebrare i cinquant'anni dalle riprese del film Il Vangelo secondo Matteo, che fu girato nel 1964 proprio nella città dei sassi. 

Alcune foto del film le ho viste nella mostra che è terminata il 20 luglio al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Ce ne sono altre scattate durante le lavorazioni di film come Mamma Roma, e questa qui sotto con Anna Magnani mi ha emozionato più di tutte. 

Pier Paolo Pasolini, Anna Magnani
Poi c'è la poesia, la mamma vera, c'è Roma e i quartieri popolari ma non solo quelli, c'è l'omosessualità e l'infamia. C'è la sua voce che si sente da un impianto audio che a volte non funziona bene e altre è coperto dalle voci di spezzoni dei suoi film. E qui veniamo alla gioia che ho provato a mettermi in cuffia o solo in ascolto della sua voce e delle sue interviste e poi alla frustrazione per non potermi godere fino in fondo l'esperienza sensoriale che risultava sì amplificata ma solo perché nella stessa sala erano installate almeno tre fonti audio e video che alla fine mi confondevano e poi si annullavano tra loro. E il solo audio aveva la peggio sul video.

Comunque, neanche l'assenza di sedute e appoggi mi ha scoraggiato dall'autentica goduria di stare vicino a un uomo e un artista importante che mi piace, però avrei voluto entrare ancora un po' di più dentro la mostra, bastava veramente poco, perché il percorso cronologico e l'idea di base che alterna la Roma di oggi e di ieri funzionava e le scelte audio visive dentro altri luoghi (Comizi d'amore dentro la vecchia auto) pure.


giovedì 17 luglio 2014

"It's me", identità sonora in ufficio

Qualche giorno fa arriva un link nella mia casella di posta: www.worldlisteningproject.org

E' l'organizzazione no profit che si occupa di "paesaggio sonoro", di comprensione della realtà attraverso l'ascolto e le registrazioni in loco.

Mi invita a partecipare alla Giornata Mondiale dell'Ascolto il 18 luglio, cioè oggi, anniversario della nascita del compositore R. Murray Schafer, a cui si devono le riflessioni sull'ecologia acustica e il paesaggio sonoro, appunto.

scatole in ufficio. Foto A. Rapone

Il tema è affascinante, "Listen To You!", e io partecipo. In poco tempo registro i suoni dell'ambiente sonoro che frequento di più, l'ufficio, la grande azienda. Ascolto le mie voci e quelle dei colleghi, poi scelgo l'opzione off proprio per il brusio di fondo dell'open space e lascio parlare la "musica del mio lavoro", ossia la mani sulla tastiera del pc. Non mi basta, mi serve una scatola molto grande per far venire fuori quello che sta dentro, l'ostinata ricerca di relazioni umane, la vera comunicazione. Ripeto It's me, è il titolo di questo breve lavoro audio.


Ascolta It's me.












sabato 5 luglio 2014

Io e la mia amica M. nell'Italia ancora in crisi

La scorsa settimana al mare incontro M. in attesa del suo quinto figlio. Lo scrivo al femminile perché ha quattro bambine, finora, e chissà se stavolta nascerà maschio. Al marito di M. poco importa, lui è l'immagine della serenità e dell'equilibrio, lei anche, anche se appare più stanca.

Fioccano commenti e parlano le donne, tutte con un figlio solo o nessuno, come me. E sia io sia M. diamo fastidio. Nell'Italia che comincia a curarsi di più della propria salute ma per cui la ciccia fa ancora i gloriosi anni Cinquanta, la mia pancia piatta non va. Così come non va, però, la pancia piena dell'amica M. Perché ha esagerato, perché ostenta una nuova maternità che non tutti possono permettersi, e la crisi economica conta fino a un certo punto.

E poi c'è il lavoro, due impiegate, lei e io, che chiedono entrambe troppo dal sistema lavorativo in cui si trovano: io maggiore flessibilità di tempo e riconoscimenti basati sul merito e non sul "cartellino", lei la stessa cosa. Io la cura della mia persona e della collettività in cui mi inserisco di volta in volta, lei la stessa cosa e la famiglia a cinque. Con o senza pancia entrambe non viviamo isolate, non facciamo volontariato perché eroiche o perché sole, non cerchiamo compensazioni facili, a letto o sul lavoro, siamo diverse, per ora o per sempre. Eppure sempre nell'Italia cattolica a lei non si perdona il numero di figli che cresce, a me il vivere senza famiglia, anche se io lo sono, famiglia, accogliente.
E le più dure nei commenti sono proprio le donne: in perenne oscillazione tra pensare a sé e pensare agli altri rischiano di rimanere immobili, ma non è questa la realtà, cerchiamo di cambiare occhiali: chi l'ha detto che la generosità di vita passa per la pancia, unicamente? Chi l'ha detto che a M. non faccia piacere un aiuto con le altre bambine? Chi l'ha detto che non la puoi invitare a cena perché non verrà mai? Chi l'ha detto che per me conta solo il lavoro? E chi l'ha detto che a me puoi chiedere di cambiare all'ultimo momento il piano ferie perché io non ho figli e la collega sì?

Leggo le riflessioni di Anna Maria Testa su nuovoeutile.it sui risultati della ricerca di GFK Eurisko nella newsletter di luglio: "I progetti delle donne superano quelli degli uomini". In particolare, "sono più attente al benessere, più impegnate nella famiglia e nelle relazioni personali e affettive, più responsabilizzate e con più senso del dovere di fronte alla crisi, più sensibili al sociale e all’ambiente, più coinvolte nella cultura e nella crescita personale". Il rischio che intravvede Testa è ridurre, a favore del sociale, l'attenzione al loro privato e quindi al ruolo di madri. Io non sono d'accordo, perché il privato per me non passa solo da lì, non è solo quello, per alcune non è proprio quello. La mia amica M., viceversa, può tranquillizzare tutti.

To be continued.








lunedì 30 giugno 2014

Andare a capo

Quando impagini di solito stai attento alle famigerate "vedove", la riga iniziale di un periodo che però si trova alla fine della pagina e continua in quella successiva. Stai anche attento alle righe "orfane", in realtà, quelle che chiudono un periodo iniziato nella pagina precedente e che ti ritrovi tutte sole all'inizio della pagina successiva, magari formate da poche parole, a volte solo una. Sola.

Ecco che è rovinato l'impatto visivo della pagina e anche quel filo del discorso si spezza, per di più in modo ridicolo.

Poi capita anche che si vada a capo e per andare a capo, pratica comunque sconsigliata, altre parole si formino senza l'intenzione dell'autore: sono parti piccole di parole più grandi e più lunghe, da sole hanno un senso ma non è mai quello del discorso in cui sono infilate. L'impaginatore allora deve stare molto attento e l'editor o il correttore di bozze che l'accompagna anche di più.

Andare a capo è un rischio e una scoperta, sempre una necessità per trovare nuovo spazio e muoversi più facilmente su una nuova riga. Come dire, non si può uscire dal testo, si rientra ma da un'altra parte. E' un ricominciare che dà respiro e aiuta il lettore nella lettura e nella comprensione. E' sempre una faccenda di equilibrio. Ma per andare a capo bisogna saperlo fare, occhio, e orecchio, a quello che ci si porta dietro e a quello che si lascia.





giovedì 19 giugno 2014

D come Death

Morte, vita.
Cadavere, persona.

Queste quattro parole le puoi leggere una in contraddizione dell'altra, una come andata e l'altra come ritorno, le puoi incrociare... il risultato sarà sempre lo stesso: ci stai facendo i conti.

Parlare e far parlare della morte non è facile, nella nostra cultura il tabù rimane, pure se crediamo nella resurrezione, ci avete fatto caso? Ci crediamo ma non bisogna parlarne, dà fastidio e porta pure male. Siamo leggermente ridicoli.

All'età di otto anni ho partecipato al primo funerale, quello di mio nonno paterno, e ho giurato a me stessa che mai avrei partecipato ad altri dolori se non avessi trovato anche il modo e la maniera di fare qualcosa con la morte, ché altrimenti sarebbe stata solo una pausa dai giorni di scuola.
Nel tempo ho scoperto di trovarmi a mio agio con i riti del Sud Italia, dell'Irlanda e del Sud del mondo, che col morto si parla e coi vivi si ricorda e si mangia insieme. Insomma, si celebra, non solo il sacerdote sull'altare.

Insomma, tutti i giorni usiamo tante parole, perché non anche per chi ci è stato e ci sarà sempre caro? Si piange per il dolore, ci si allontana e ci si avvicina. Se ci si perde sono guai.

Ed Prosser, un giovane producer radiofonico, ha fatto un audio documentario sulla morte. E ha scoperto che va a braccetto con la vita e che si tratta sempre di persone, quindi di noi.

Il titolo è D-Word. D come Death.




sabato 7 giugno 2014

La realtà dei trasporti romani, il solito tram tram

Apprendo con piacere che al Gay Pride di Roma sono in 200mila. Con meno piacere vengo a sapere che i tram per la Prenestina non passano da più di un’ora per lo stesso motivo. La manifestazione, di qualsiasi colore o di tutti i colori insieme essa sia, blocca la città tutta, si sa. Colpa mia che non ho ricordato e che ho fatto il biglietto Trenitalia da Milano a Roma per oggi alle 15.00 con arrivo alle 17.55. Colpa anche di Trenitalia che il treno sia arrivato con soli 5 minuti di ritardo.

A Milano sono andata per parlare di audio documentari, del Premio AudioDoc dedicato al racconto del reale, di suoni e di realtà insomma. Alla diretta della trasmissione ‘Real Doc’ su Radio Popolare avrei dovuto ricordare anche da dove vengo, cioè da una città che amo ma che ultimamente non si AMA, vista la spazzatura non ritirata a bordo strada, e che non si ATAC, se solo si potesse dire, anzi si attacca al tram, se solo i tram passassero, e gli autobus pure.

Otto chilometri per arrivare dalla stazione Termini a casa mia sulla Prenestina-villa Gordiani col percorso alternativo metro B e cambio bus 544 o 542 alla fermata Monti Tiburtini. Anche qui un’attesa di mezz’ora prima di riuscire a salire su un autobus utile e diventare ancora più magra e più incazzata di prima (ho scritto una parolaccia su questo blog per la prima volta, non me ne posso scusare, scusate): viaggio di lavoro e di piacere rovinato in pochi minuti. Anzi no, i minuti nel frattempo si sono trasformati in ore: sono le otto di sera, devo ancora farmi una doccia rilassante, per rilassarmi sto scrivendo questa lettera che contiene anche una proposta operativa.

Chiedo all’amministratore delegato di Atac S.pA. Danilo Broggi di collaborare con me o con audio documentaristi più bravi ed esperti di me a un nuovo audio documentario sui trasporti romani e su nuovi racconti di vita, e non di morte, attorno, dentro sopra e sotto i mezzi di trasporto dell’azienda che lui guida.

L’audio documentario è una raccolta di documenti sonori di vario tipo e quello che ho in mente non vuole fotografare la realtà - la foto all’autobus 542 arrivato alla fermata Monti Tiburtini dopo mezz’ora di attesa già l’ho scattata – ma contribuire a migliorarla rendendo tutti più responsabili verso se stessi e la collettività, consapevoli del servizio pubblico che svolgono e che non deve mai essere dato per scontato, così come il biglietto.

Intanto, noi cittadini di Roma seguiremo con sempre maggiore tenacia e passione quello che Atac sta facendo per lo "sviluppo di un modello urbano funzionale e sostenibile".

Buona serata


lunedì 2 giugno 2014

Autori della realtà

Con disinvoltura siamo passati da una storia ambientata a Roma fra urtisti e peromanti - sapete chi sono? Io l'ho scoperto soltanto martedì scorso - al Nord Est dove un nuovo modello di sviluppo è necessario e dovrà essere diverso dal precedente che ha provocato macerie, alla storia del telefono, poi dentro il centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Ponte Galeria a Roma, all'interno di un condominio, anzi Condominium, in Ucraina terra di confine, fra alcune testimonianze fatte di eroina.

Sette audio documentari in ascolto al Nuovo Cinema Aquila di Roma, pomeriggi sprofondati in comode poltrone, parole e suoni che ti fanno venire in mente altre parole e altri suoni, persone e situazioni, ognuno pensi per sé, si asciughi una lacrimuccia, abbracci chi vuole e decida chi essere da grande.

Alla prima edizione del Premio AudioDoc a cui ho partecipato anche io con Condominium. Come ti rompo le scatole, il suono messo a punto per l'ascolto in dolby surround ci ha raccolti anche se eravamo dispersi, non pochi ma non tanti, ancora distanti le persone dalla spinta a osare di usare solo le orecchie, scappare dal posto di lavoro anzitempo, forse, raggiungere le "proiezioni sonore" e scoprire altre realtà, per pochi minuti o qualche ora insieme agli sconosciuti. No, non è pericoloso.

Ha vinto A questo punto. Viaggio in un possibile NORD EST prossimo venturo di Jonathan Zenti, autore della realtà. Complimenti.