domenica 23 febbraio 2014

Il tempo e il gusto del lavoro

Ho letto con avidità i 21 consigli per lavorare meglio, del giovane Jordan Bates che insegna inglese nella Corea del Sud, e questo già mi ha tranquillizzato. E' una lista lunga, e questo mi è piaciuto decisamente meno, a cui Internazionale rinvia dalla sua "stanza dei grafici", la rubrica piena di segnalazioni interessanti e diverse ogni settimana.

Bene, terminata la lettura mi sono detta che li conoscevo già tutti, i 21 consigli, e da molto tempo, sicuramente da prima che iniziassi a lavorare, ed era la fine degli anni Novanta, non un secolo fa, ma invece sì.

Poi li ho riletti, per mettere alla prova la mia presunzione e ricavare qualcosa che non fosse solo ricordi e alzatucce di spalle. Work smarter, not harder è un aiuto nella riflessione che sto facendo ormai da tempo sul tempo del lavoro.

Il punto 4 io l'ho imparato a scuola, a lezione di religione: Devote your entire focus to the task at hand. Che nella voce del sacerdote abruzzese diventava "Concentrati sul presente e su quello che le tue orecchie stanno ascoltando. Dopo avrai ginnastica, non ti portare un libro per ripassare ma dai il 100% nella partita di pallavolo. E così via, senza dispersione di energie e troppi pensieri in testa. L'ho sempre fatto e confermo che solo così si prende il gusto di ogni attimo, anche di quelli difficili.

Va da sé che "Leave a buffer-time between tasks" me lo sono portato dietro dai compiti a casa, quando mi alzavo dopo aver ripassato storia o finito un esercizio lungo di matematica, facevo merenda o una passeggiata, o tutte e due.

Find time for stillness, siamo al punto 20, è quanto mai fondamentale. Io per esempio mi devo difendere dalle chiacchiere dell'ufficio che continuano anche quando siamo fuori: aver detto un chiaro NO a commenti, telefonate fuori orario e pericolose pratiche social mi ha reso nel tempo più forte e più rispettata. Non sempre riesce, è un esercizio costante di pulizia del principale hard disk, il cervello.

Va be', il punto fuori elenco vuole che ognuno di noi si diverta mentre lavora, tornando all'essenziale: "wonderful things will happen". Dai Bates, pure se non accadranno cose meravigliose, qualcosa accadrà, magari terminare un lavoro con meno stress e in tempo per alzarsi e fare quella passeggiata senza pensieri. Mi sembra già un buon modo per affrontare domani un'altra settimana.

Nell'elenco di Bates aggiungerei di non guardare sempre l'orologio e neppure il calendario: quando si è immersi in un lavoro si va in profondità e la timeline è fasulla, rischia di far venire l'ansia e restare in superficie. Serve all'inizio per fissare il tempo, ma poi l'immersione si fa senza neppure i subacquei.




giovedì 20 febbraio 2014

La scrittura e l'ufficio

"La scrittura e l'ufficio non si possono conciliare, dal momento che la scrittura ha il suo centro di gravità nella profondità, mentre l'ufficio si colloca nella superficie della vita" (Franz Kafka alla fidanzata Felice Bauer, 1913). 

"Ciccia scopre che i suoi tormenti erano anche quelli di Kafka, a cui però lo scrittore che lavorava all'Istituto di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro del Regno di Boemia a Praga aveva già trovato soluzione, pure se continuava a lamentarsi: l'ufficio con tutti gli impiegati, gli stipendi, i capi, l'assenteismo e i favoritismi entrava nei suoi romanzi e lì trovava profondità. Il castello, Il processo... 
Certe idee e allegorie nacquero, se può essere facile la logica causa-effetto, non solo nella piccola e bassa casetta in cui viveva, ma negli stretti e grigi corridoi in cui il suo ufficio si trovava. 

Ciccia decide di non lamentarsi più e di fare come il suo scrittore preferito: vivere nel luogo di lavoro senza avere paura di incontrare i suoi fantasmi, di respirare il suo odore, di conoscere i suoi segreti. Perché il racconto inizia anche da lì. 
P.S. Pappa ha paura che la sua amica si perda nel Castello o finisca sotto Processo... ma allora sarebbero in due, sempre alla ricerca di senso..."

Ho provato tenerezza e anche un po' di imbarazzo a rileggere cosa scribacchiavo nel 2009 in un blog surreale dal nome Pappa&Ciccia. Presentava ogni giorno in poche righe i dialoghi assurdi e poetici fra due figure, maschile e femminile, due parti di uno che vedevano il mondo a modo loro e se lo raccontavano per cercare di comprenderlo. 

In una riunione di lavoro ieri mi è stato chiesto quale sia il mio hobby, ho risposto "scrivere", rischiando di apparire noiosa per la continuità fra il dentro e il fuori dell'azienda, neanche tanto rispettosa per quello che è parte della mia identità, per forza però sincera. Perché scrivere non appartiene a un tempo libero o a un tempo occupato e mi piacerebbe parlare con Kafka di questo.


martedì 11 febbraio 2014

Inchiesta audio sui call center

Parole in cuffia non è solo questo blog ma un audio dramma sul lavoro nella radio e nel call center, legati dalla paradossale continuità dell'oggetto cuffie, così diverse.

Da oggi va in onda su Radio Articolo1 l'inchiesta di Ornella Bellucci sui call center. Ogni settimana alle 17.30 per otto puntate.

Passa il tempo, la situazione all'interno di alcuni call center si è stabilizzata come i contratti di lavoro, in altri si va all'estero e la paga è sempre più bassa.

Il lavoro si può raccontare in tanti modi, il call center anche.




martedì 4 febbraio 2014

Il nuovo linguaggio aziendale, il senso della comunità

Negli ultimi anni nella comunicazione interna all'azienda girano parole come "condivisione", "comunità", "comunione" e perfino "benedizione". Girano all'interno di aziende grandi che, forse per paura di disperdere il sapere e per rafforzare il senso di identità, prima cercavano di fare squadra, poi, passata la metafora sportiva, hanno cercato di fare gruppo e oggi vogliono essere una comunità. Parola bellissima, però.

"Più persone che vivono in comune, sotto certe leggi e per un fine determinato" devono vivere insieme gli stessi valori, e non un giorno ma tutti i giorni alla prova. Devono sapere cosa rischiano se non rispettano le leggi e conoscere il fine verso cui tendono, e non un giorno ma tutti i giorni alla prova. Perché può darsi che quel fine cambi così come le leggi che governano il movimento, i processi. Può darsi che cambino pure i valori. La comunità si costruisce con persone consapevoli di tutto ciò.

E mentre nascono comunità di famiglie professionali - e la famiglia è sempre un valore in sé, e in azienda non entra la discussione della famiglia allargata o solo con genitore1 o genitore 2 e in famiglia siamo tutti uguali, ascoltiamo e parliamo senza giudizi - si rafforza la figura del capo, da cui si aspetta, per un progetto così come per una mail, l'approvazione, un ok, qualcuno dice la benedizione. Brivido uno.

Brivido due è quando mi chiamano proprio per una "condivisione" o mi inviano un documento per lo stesso motivo: mi aspetto colleghi in circolo alle prese con i loro più intimi segreti e ansiosi di ascoltare qualche parola risolutiva. Vedo persone che sbattono i pugni sul tavolo perché sono arrivati secondi nella risposta a un quesito o perché non sono loro a coordinare un gruppo di lavoro, una micro comunità, se vogliamo. Ascolto le stesse persone che in condivisione si confessano e chiedono anche l'assoluzione, brivido tre.

Abbiamo bisogno di riti e siamo esseri sociali, d'accordo, c'è uno spirito francescano nell'aria, va bene, ma, senza liquidare la faccenda che comunque merita più di questo semplicistico post, al termine di riunioni numerose e rumorose mi chiedo sempre: il lavoro chi lo fa? 






sabato 1 febbraio 2014

Il lavoro agile. Che poi è l'ovvio, vero Fantozzi?

"La verità è che il part time non è funzionale al nostro lavoro". Non ho risposto a questa affermazione in ufficio, qualche giorno fa. Per due motivi, il primo è che dati alla mano (numero pezzi prodotti, risparmio energetico, ticket saving che fa figo, pratiche burocratiche sbrigate in minor tempo) può essere smentita. Per non parlare degli elementi non misurabili che porta con sé: qualità delle relazioni, energie e idee liberate, maggiore concentrazione e precisione. Il secondo motivo è che l'affermazione è... vera. Non è il part time in sé a dare alcuni dei vantaggi misurabili e non misurabili che ricordavo, ma piuttosto il "lavoro agile". Cioè il lavoro gestibile in base alle situazioni, alle priorità, alla necessità di conciliarlo con la vita tutta. Ah, lo hanno chiamato "agile" perché definirlo "flessibile" ci avrebbe fatto ricordare quello che nel tempo è divenuto purtroppo suo sinonimo, cioè "precario".

Il lavoro agile è quello che una quarantina le aziende proveranno a Milano il prossimo 6 febbraio, giornata dedicata appunto allo smartwork, sperimentazione nell'ambito del Piano Territoriale degli Orari

"Secondo Adele Mapelli, docente dell’università Bocconi, “Il rito della timbratura impone un confine netto tra vita e lavoro, ma di fatto è ormai impossibile separare vita privata e altri impegni. Mentre il lavoro sconfina nella vita privata, l’orario di lavoro è sempre misurato su una base rigidamente ancorata al luogo fisico dell’ufficio. Nella società della conoscenza, la proposta di forme di flessibilità temporali e spaziali costituisce una risposta necessaria a chi reclama un rapporto di lavoro basato non sulla presenza, ma sui risultati”."

E come farebbe poi Fantozzi senza la folle corsa verso la macchinetta delle timbrature? Come potrebbe rinunciare alla signorina Silvani, il suo sogno d'amore d'ufficio? E anche al suo capoufficio e a tutti i colleghi con cui trascorre le sue tragiche giornate? Ed eccoci al nodo culturale della faccenda. L'abitudine rassicurante di un tempo e di un luogo fatto di riti sociali, fondamentali direi, dove però il lavoro è prima di tutto presenza e non solo, o non per forza, risultati. Dove il lavoro è controllo. Dove vince ancora la macchinetta del caffè, bleah.

Riusciranno le aziende che partecipano alla giornata di Milano a introdurre e regolamentare, come giusto che sia, le tante forme del lavoro agile cogliendone i vantaggi per sé, per il lavoratore, per l'ambiente?

Pensavo a questo quando venerdì scorso, ieri mattina, ero sugli autobus diretta al posto di lavoro. Il "lavoro agile" sarebbe stato funzionale alla giornata di pioggia, all'ambiente inquinato, al risparmio dell'energia di tutti per un suo migliore scopo, la produttività felice
Riuscirà Roma almeno a sperimentare quello che è l'ovvio, ragionier Fantozzi?