mercoledì 25 febbraio 2015

Il microfono e la persona

"Parler dans le microphone m’ouvrait la voie de la confidence, et de la confiance". 
Confidenza e fiducia per Daniel Martin Borret, autore francese che davanti a un microfono a casa sua parla di tutti i sé che contiene: auto-fiction, analisi pubblica meglio che da uno psicologo, paure prese per mano e accompagnate alla porta.

Chi fa la radio lo sa, e anche chi l'ascolta da tempo: il microfono può essere panico e può essere salvezza, di certo scopre la verità.

Tempo fa riportai qui alcuni passaggi del radiodramma che lo scrittore Nicola Lagioia nel 2010 preparò in occasione dei festeggiamenti per i 60 anni di RadioTre. L'opera si chiamava "Panico da microfono" ed era la storia di un temutissimo critico cinematografico alle prese con la diretta radiofonica.

"Chiesi agli Uomini della radio: "Che cosa devo fare di preciso?" E gli Uomini della radio risposero serafici: "Devi solo fare davanti a un microfono quello che fai ogni giorno davanti alla tastiera del computer. Ti scegli un film e ne parli per quindici minuti. Lo stronchi, lo esalti, inviti il pubblico a bruciare la pellicola: hai la massima libertà".[...] 'E invece, quando nello studio si accese la luce rossa, e io per iniziare avrei dovuto solo dire: "Buonasera da Roberto Canali, benvenuti a Spazio Lumière, fu lì che mi prese il panico".[...]'Mentre dicevo il Buonasera più incerto che avessi mai proferito in vita mia, un'altra voce, la mia voce interiore sussurrava: "... non è come scrivere un articolo. La radio è un'altra cosa e tu non sai come affrontarla. La scrittura è la calma riorganizzazione di un pensiero; la voce è il sismografo in diretta della tua emotività [...]".

Qui invece l'intervista e i suoni di Daniel Martin Borret, fonte d'ispirazione anche per noi.

sabato 7 febbraio 2015

I racconti del lavoro invisibile, segnalazione d'ascolto

Siete già andati a vedere, ascoltare, partecipare a I racconti del lavoro invisibile, alla Casa internazionale delle donne a Roma? Dal 29 gennaio un percorso multimediale sul lavoro e sul lavoro al femminile per capire come le donne in fabbrica, per esempio, hanno trasformato il modo di lavorare e le richieste degli uomini.

Prossimi appuntamenti, il 12 febbraio con Il lato invisibile della migrazione e il 19 febbraio con Mi piego ma non mi spezzo. Io sarò lì il 19 febbraio dal pomeriggio per ascoltare tutto d'un fiato l'audio documentario "Interim" del mio amico Jonathan Zenti e mettere alla prova tesi e antitesi di un mondo del lavoro che cambia eppure sembra rimanere immobile di fronte alle esigenze più semplici di pari dignità e rispetto, soldi e diritti.










mercoledì 4 febbraio 2015

Se asap diventa tbd, dalla fretta all'incertezza

Sigle e abbreviazioni, modi di dire e soprannomi ci aiutano nel guadagnare tempo e assicurarci l'appartenenza a un'enclave riconosciuta e rispettata. Per esempio quella italiana dentro gli usi e costumi di una multinazionale. Però alla "ragazza a termine" che fino a lunedì prossimo lavorerà nella grande azienda americana è andata male, perché dell'enclave faceva parte lei sola e perché l'italiano resta una lingua straniera e le sigle e tutto il resto devono essere in inglese o perlomeno imitarlo.

Se così non è, allora è giusto che la manager possa dire, a un certo punto: "Ho notato che tu scrivi bene in italiano... Ho notato che tu scrivi tanto in italiano, tante cose... No, certo, scrivi bene anche le mail in inglese, ma quelle sono facili. Quelle italiane invece sono lunghe, con molte parole lunghe, piene di spiegazioni, senza nessuna abbreviazione o sigla, tu per esempio non scrivi "asap", perché? Perché ti fa fatica entrare nel nostro linguaggio? Ho notato che non sei proprio riuscita a fare a meno di usare tutte le parole in italiano per dire le stesse cose che si possono dire in minor tempo in inglese".

Dialogo, ops monologo, che mi hanno appena raccontato e che subito scrivo qui per non perdermi l'associazione mentale a un discorso di Tullio De Mauro sulla ricchezza della parola e sulla fatica che la nostra specie e noi da bambini abbiamo fatto per crescere come adulti consapevoli del patrimonio che portiamo in bocca e nelle orecchie.

"Possiamo fare passi avanti sulla via antica della comprensione reciproca e della comprensione e intelligenza del mondo. Purchè chi guarda in fondo al linguaggio vi scorga la necessità che esso, se non vuole limitare la sua stessa funzione, si faccia esso stesso educazione alla parola in tutte le sue potenzialità".

Lo saprà, la manager riflessiva, che nel suo discorso sul linguaggio sbrigativo ha usato l'anafora, che è una figura retorica dal passato prestigioso? E' consapevole, la lavoratrice a tempo, di aver fatto una sorta di resistenza culturale, di aver esercitato un diritto, quello di usare la propria lingua e la propria storia culturale, per scrivere ad altri esseri umani capaci di comprenderla? Sapranno trovare un modo qualsiasi, gli americani della multinazionale, per comunicare in qualunque lingua la fine di un rapporto di lavoro senza appellarsi al quinto emendamento?

Psicologi del lavoro ed esperti d'organizzazione diranno che dimenticare di scrivere "asap" (as soon as possible) indica una resistenza al cambiamento, una difficoltà d'integrazione, un'incapacità a capire il contesto. E poi asap è meno grave di "tbd" (to be defined), la terribile sigla che si vede in certe presentazioni dal futuro incerto, no? No, io comunque non riesco né a dire né a scrivere né l'una né l'altra ed entrambe mi sembrano una mancanza di rispetto verso chi legge. E poi, il pericolo maggiore si corre quando asap diventa tbd, cioè quando la febbre della fretta diventa pandemia dell'incertezza. To be continued... e lo scrivo per esteso perché abbreviato fa più male. 





domenica 1 febbraio 2015

C come condivisione, ieri oggi e...

"Non dobbiamo fare i professori dei clienti". (Valerio Notarfrancesco)

"L'alternanza di formati aiuta a dare ritmo a una presentazione". (Anna Covone)

"Fatevi un calendario editoriale e metteteci dentro pure il gioco!" (Valentina Falcinelli)

"Il nome dell'app deve essere corto e la descrizione di poche righe". (Paolo Zanzottera)

"Un testo naturale non si misura ma si sente". (Luisa Carrada)


Ieri ero al convegno C-come su copywriting, creatività e content marketing. E quelli sopra sono gli appunti-spunti iniziali di alcuni dei relatori.

visual story di Marco Serra
Dodici relatori per fare il punto della situazione su contenuti da creare, ascoltare, misurare, smontare e rimontare, diffondere anzi condividere. Quanto è abusata questa parola, la condivisione. Eppure ieri è stata messa alla prova tutto il tempo, tutta la giornata, e ne è uscita di nuovo pulita, appena coniata moneta di valore, pagante e appagante. Il live twitting, certo, che a me piace tanto e però provoca pure qualche fastidio perché voglio restare concentrata nella fase egoistica dell'ascolto insieme agli altri, i giochi interattivi e le sorprese dei bravi organizzatori di Pennamontata, ché sembrava una festa dove ognuno fa il regalo di se stesso e noi di sabato mattina così eravamo vestiti, gli interventi dei relatori, al di là dei contenuti interessanti tutti, osservavo e ascoltavo posture, sguardi, timbri di voce e silenzi. E poi gli incontri e le idee e i progetti e le persone.

Comincio dalla mia vicina di sedia, l'amica Roberta Buzzacchino che tracciava in diretta le mappe mentali dell'evento: continuo a credere che il foglio senza righe messo in orizzontale e l'uso dei colori siano gesti di libertà che tutti dovremmo permetterci. Continuo con due professionisti bravi e modesti come Andrea Salis e Andrea Lolli, conosciuti diversi anni fa e finalmente ritrovati: la loro agenzia Air Communication riparte dal piccolo per fare cose grandi, cioè semplicemente utili.
Finisco con Montanus, un progetto di montagna di Francesco D'Alessio e Giorgio Frattale: metti due abruzzesi doc in bicicletta, fai un po' di product placement, manda un documento chiaro e in buon inglese per cercare sponsor e poi scatta le foto e condividi online. Così valorizzi il tuo territorio, ti fai conoscere, provi a viverci, la salute ringrazia.

No, non è così facile anzi è difficilissimo oggi più di ieri lavorare nella comunicazione e restare sereni ma continua a essere bello e utile se si usa il tempo per investire su un'idea forte e fare rete.