"Ciccia scopre che i suoi tormenti erano anche quelli di Kafka, a cui però lo scrittore che lavorava all'Istituto di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro del Regno di Boemia a Praga aveva già trovato soluzione, pure se continuava a lamentarsi: l'ufficio con tutti gli impiegati, gli stipendi, i capi, l'assenteismo e i favoritismi entrava nei suoi romanzi e lì trovava profondità. Il castello, Il processo...
Certe idee e allegorie nacquero, se può essere facile la logica causa-effetto, non solo nella piccola e bassa casetta in cui viveva, ma negli stretti e grigi corridoi in cui il suo ufficio si trovava.
Ciccia decide di non lamentarsi più e di fare come il suo scrittore preferito: vivere nel luogo di lavoro senza avere paura di incontrare i suoi fantasmi, di respirare il suo odore, di conoscere i suoi segreti. Perché il racconto inizia anche da lì.
P.S. Pappa ha paura che la sua amica si perda nel Castello o finisca sotto Processo... ma allora sarebbero in due, sempre alla ricerca di senso..."
Ho provato tenerezza e anche un po' di imbarazzo a rileggere cosa scribacchiavo nel 2009 in un blog surreale dal nome Pappa&Ciccia. Presentava ogni giorno in poche righe i dialoghi assurdi e poetici fra due figure, maschile e femminile, due parti di uno che vedevano il mondo a modo loro e se lo raccontavano per cercare di comprenderlo.
In una riunione di lavoro ieri mi è stato chiesto quale sia il mio hobby, ho risposto "scrivere", rischiando di apparire noiosa per la continuità fra il dentro e il fuori dell'azienda, neanche tanto rispettosa per quello che è parte della mia identità, per forza però sincera. Perché scrivere non appartiene a un tempo libero o a un tempo occupato e mi piacerebbe parlare con Kafka di questo.
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