Il lavoro agile è quello che una quarantina le aziende proveranno a Milano il prossimo 6 febbraio, giornata dedicata appunto allo smartwork, sperimentazione nell'ambito del Piano Territoriale degli Orari.
"Secondo Adele Mapelli, docente dell’università Bocconi, “Il rito della timbratura impone un confine netto tra vita e lavoro, ma di fatto è ormai impossibile separare vita privata e altri impegni. Mentre il lavoro sconfina nella vita privata, l’orario di lavoro è sempre misurato su una base rigidamente ancorata al luogo fisico dell’ufficio. Nella società della conoscenza, la proposta di forme di flessibilità temporali e spaziali costituisce una risposta necessaria a chi reclama un rapporto di lavoro basato non sulla presenza, ma sui risultati”."
E come farebbe poi Fantozzi senza la folle corsa verso la macchinetta delle timbrature? Come potrebbe rinunciare alla signorina Silvani, il suo sogno d'amore d'ufficio? E anche al suo capoufficio e a tutti i colleghi con cui trascorre le sue tragiche giornate? Ed eccoci al nodo culturale della faccenda. L'abitudine rassicurante di un tempo e di un luogo fatto di riti sociali, fondamentali direi, dove però il lavoro è prima di tutto presenza e non solo, o non per forza, risultati. Dove il lavoro è controllo. Dove vince ancora la macchinetta del caffè, bleah.
Riusciranno le aziende che partecipano alla giornata di Milano a introdurre e regolamentare, come giusto che sia, le tante forme del lavoro agile cogliendone i vantaggi per sé, per il lavoratore, per l'ambiente?
Pensavo a questo quando venerdì scorso, ieri mattina, ero sugli autobus diretta al posto di lavoro. Il "lavoro agile" sarebbe stato funzionale alla giornata di pioggia, all'ambiente inquinato, al risparmio dell'energia di tutti per un suo migliore scopo, la produttività felice.
Riuscirà Roma almeno a sperimentare quello che è l'ovvio, ragionier Fantozzi?
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