domenica 17 aprile 2016

Quello spazio mentale, fonte di felicità

Tanti anni fa a un'amica al mare rivelai che il sogno a occhi aperti che mi faceva stare bene era la coreografia di uno spettacolo di teatro-danza. Non provai nemmeno a spiegarle tanto perché lei, che si stava laureando in psicologia, mi confermò che esistono processi di questo tipo, che sono "scientifici" e necessari e che si tratta di iniezioni di benessere non solo per la testa. Non disse proprio così, anzi sicuramente mi parlò con cognizione di causa usando un linguaggio semplice ma tecnico, io a distanza di anni ricordo solo che qualcuno non si stupì della mia immaginazione diurna: attivavo aree di salvezza quotidiana, fonti di felicità, oserei dire. Lo potevo perfino dire, non ero matta, non ero la sola, sui libri ci stava.

Qualche giorno fa un'amica su Facebook chiede "Qual è il vostro pensiero felice? Quello che vi permette di volare?" Ci risiamo, ho pensato, riecco la coreografia.

Riecco stranamente il fatto che pur amando ballare non ne sono capace, che sempre ho provato ma mai con l'intenzione di impegno e costanza, che ho iniziato tardi e che neanche possiedo una particolare predisposizione. Eppure amo il corpo che sa stare nello spazio, fermo e in movimento. Amo la musica che c'è dentro e quella che puoi seguire fuori. Amo chi si muove con consapevolezza, leggero e sicuro.

Non la ballerina, no, la coreografa addirittura, la regista... la visione d'insieme, le indicazioni da dare, le intenzioni da passare... Sono passati anni e qualche giorno fa, durante la preparazione di un'intervista a un'esperto di comunicazione rivolta ai giovani, un collega mi chiede: "E tu, cosa volevi fare da grande?" Dopo aver detto il consueto "veterinario" e svelato il folle "portiere di calcio", sono passata alla scrittrice - stavolta ho usato il femminile, guarda un po' come pesano le abitudini culturali -, l'unico vero mestiere a cui dedico da sempre il mio tempo, pagato e non.
Solo dopo un po' ho pensato alla zona di benessere mentale a cui non ho mai veramente prestato tempo e voce e impegno. Solo dopo un po' ho capito che quella zona però esce fuori ogni volta che di un testo da rivedere pretendo il progetto nella sua totalità, quando in un video da preparare impiego giorni nella progettazione e resto attaccata ai tecnici durante la produzione e la post produzione.

Cos'è? E' il desiderio di partecipazione collettiva, di spettacolo da mettere su insieme. Mi piace stare concentrata nella fase di redazione ma da tempo non riesco a fare solo quello, ho necessità di uscire fuori e condividere, di aprire la porta della stanza e chiedere a che punto siamo con gli altri pezzi del puzzle. E ogni volta è un corpo a corpo: usciamo stanchi, sudati, soddisfatti, con tante cose da raccontare ancora. Tornerò sull'argomento;-)






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