lunedì 18 agosto 2014

Ad Amsterdam col registratore

Ho portato il registratore per farmi compagnia, è questa la verità. Ci sono andata da sola, anche questa è la verità, con la presunzione, che fa rima con disperazione, che persone e storie le avrei incontrate comunque: estrema fiducia nella città reticolare, nella Provvidenza, nella parola "occasione" che quest'anno ho capito cos'è, non appunto solo una parola.

E ad Amsterdam il registratore l'ho acceso, un giorno e anche quello successivo, ho messo le cuffie e ho iniziato a pensare in un'altra lingua.

Con 16 gradi ho dovuto far finta di non sentire il sudore sulla maglia per aver interrotto il lavoro di un lavavetrine e la felicità per aver rotto il ghiaccio, quasi senza che fosse una metafora. Ho continuato nei negozi e al mercato a fare domande sul tema lavoro per un prossimo lavoro audio sul tema, ma non è questa la cosa importante.

Foto A. Rapone, vetrina libreria Athenaeum
Gli olandesi sono concentrati mentre corrono in bici e scelgono cosa comprare al mercatino delle pulci, non ti chiedono chi sei e dove andrà a finire la loro voce, in un certo senso non ti osservano ma si fidano, sono lusingati e abituati a essere internazionali, restano imperscrutabili. E capita che alla prima e più facile domanda "What's your name?" l'astuto venditore di roba usata risponda convinto "My name is Nobody".

Ancora una volta il registratore è stato il mezzo per entrare in contatto con persone diverse in diversi contesti, per uscire dalle difficoltà di sentirsi straniera pure se turista e quindi non in crisi di identità, per giocare con la lingua inglese che faceva da ponte tra l'italiano e l'olandese. Divertente e molto interessante.

Non vedo l'ora di realizzare il documentario audio per dire ancora grazie alle persone che hanno accettato di fermarsi per parlare con me.







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