mercoledì 4 febbraio 2015

Se asap diventa tbd, dalla fretta all'incertezza

Sigle e abbreviazioni, modi di dire e soprannomi ci aiutano nel guadagnare tempo e assicurarci l'appartenenza a un'enclave riconosciuta e rispettata. Per esempio quella italiana dentro gli usi e costumi di una multinazionale. Però alla "ragazza a termine" che fino a lunedì prossimo lavorerà nella grande azienda americana è andata male, perché dell'enclave faceva parte lei sola e perché l'italiano resta una lingua straniera e le sigle e tutto il resto devono essere in inglese o perlomeno imitarlo.

Se così non è, allora è giusto che la manager possa dire, a un certo punto: "Ho notato che tu scrivi bene in italiano... Ho notato che tu scrivi tanto in italiano, tante cose... No, certo, scrivi bene anche le mail in inglese, ma quelle sono facili. Quelle italiane invece sono lunghe, con molte parole lunghe, piene di spiegazioni, senza nessuna abbreviazione o sigla, tu per esempio non scrivi "asap", perché? Perché ti fa fatica entrare nel nostro linguaggio? Ho notato che non sei proprio riuscita a fare a meno di usare tutte le parole in italiano per dire le stesse cose che si possono dire in minor tempo in inglese".

Dialogo, ops monologo, che mi hanno appena raccontato e che subito scrivo qui per non perdermi l'associazione mentale a un discorso di Tullio De Mauro sulla ricchezza della parola e sulla fatica che la nostra specie e noi da bambini abbiamo fatto per crescere come adulti consapevoli del patrimonio che portiamo in bocca e nelle orecchie.

"Possiamo fare passi avanti sulla via antica della comprensione reciproca e della comprensione e intelligenza del mondo. Purchè chi guarda in fondo al linguaggio vi scorga la necessità che esso, se non vuole limitare la sua stessa funzione, si faccia esso stesso educazione alla parola in tutte le sue potenzialità".

Lo saprà, la manager riflessiva, che nel suo discorso sul linguaggio sbrigativo ha usato l'anafora, che è una figura retorica dal passato prestigioso? E' consapevole, la lavoratrice a tempo, di aver fatto una sorta di resistenza culturale, di aver esercitato un diritto, quello di usare la propria lingua e la propria storia culturale, per scrivere ad altri esseri umani capaci di comprenderla? Sapranno trovare un modo qualsiasi, gli americani della multinazionale, per comunicare in qualunque lingua la fine di un rapporto di lavoro senza appellarsi al quinto emendamento?

Psicologi del lavoro ed esperti d'organizzazione diranno che dimenticare di scrivere "asap" (as soon as possible) indica una resistenza al cambiamento, una difficoltà d'integrazione, un'incapacità a capire il contesto. E poi asap è meno grave di "tbd" (to be defined), la terribile sigla che si vede in certe presentazioni dal futuro incerto, no? No, io comunque non riesco né a dire né a scrivere né l'una né l'altra ed entrambe mi sembrano una mancanza di rispetto verso chi legge. E poi, il pericolo maggiore si corre quando asap diventa tbd, cioè quando la febbre della fretta diventa pandemia dell'incertezza. To be continued... e lo scrivo per esteso perché abbreviato fa più male. 





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