sabato 6 luglio 2013

Leila Saida, buona notte

"Ogni popolo ha il diritto imprescrittibile e inalienabile all'autodeterminazione", art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli.

La prima volta che sentito la parola "autodeterminazione" proveniva dal piano di sopra, l'ottavo nel palazzo in cui vivevo fino a pochi anni fa, e fu urlata a un fratello che si preparava all'esame di terza media dal fratello che già faceva il liceo, si sarebbe laureato lettere e avrebbe continuato a urlare i diritti degli uomini e delle donne. In poche parole e una parolaccia il grande spiegò al piccolo come si doveva stare al mondo, cioè liberi, e lo spiegò anche a me, che al piano di sotto studiavo per superare la stessa prova.

Alzi la mano chi sa chi sono i Saharawi e dove si trova il Sahara Occidentale. Nella geopolitica internazionale la loro storia è nota, la geografia del loro paese un po' meno. Non tutti lo chiamano paese, del resto, non riconoscendo la RASD, ossia la Repubblica Araba Saharawi Democratica proclamata nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1976 quando la Spagna lasciò l'occupazione del Sahara Occidentale mentre Marocco e Mauritania continuavano nella progressiva occupazione di uno dei territori più ricchi d'Africa, con coste pescose che i bambini che vivono nei campi profughi del deserto algerino non hanno mai visto.

Bandiera Saharawi

Nove di questi bambini li ho conosciuti poche ore fa al Centro Ragazzi don Bosco di Roma che ospita il gruppo di volontariato Sahara Libre che a sua volta ospita, come ogni anno da dieci anni, un gruppo di bambini e il loro accompagnatore, ambasciatori di pace alla ricerca di qualcuno che sostenga la loro "causa", un referendum per l'autodeterminazione attraverso il quale raggiungere la piena indipendenza.
Intanto un muro di circa 2700 chilometri e un campo minato lungo il suo perimetro separano i Saharawi rimasti nei territori occupati dal Marocco da quelli che più di trenta anni fa sono fuggiti e hanno trovato rifugio a Tindouf, a sud dell'Algeria, dove fa molto caldo e si vive con gli aiuti umanitari. I nove bambini vengono da lì.

Per sapere di più su questa storia in rete ci sono alcune informazioni, io che stasera me li sono trovati addosso con richieste di bagno, pianto, acqua tutte mal interpretate, ne segnalo alcune di parte: registrazioni rubate ai miei amici Marco e Teresa mentre spiegano chi sono i Saharawi e come comportarci con i bambini che accogliamo, il fotoracconto di una passeggiata a Roma l'anno scorso insieme ai fotografi di Shoot4Change

Tra le parole in cuffia di oggi, Leila Saida, buona notte.
Al prossimo post la voce dei bambini di quest'anno.






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