giovedì 2 novembre 2017

Te stesso al microfono: quale voce hai, quale voce usi?

"There are so many more considerations when it comes to voicing. That’s why there are voice coaches".

Rob Rosenthal su transom.org esprime considerazioni e fa esempi di come lui stava davanti al microfono ma mica gli piaceva tanto la voce ne usciva - troppo esaltata, troppo poco reale e adatta a quello che sentiva. In Sounding Like Yourself - che per inciso è un titolo che mi piace tantissimo - ci dice che in un prima del suo lavoro era solito stare in piedi davanti al microfono e leggere dal foglio di carta, poi però è passato alla posizione da seduto e ha sostituito lo script col pc... "Hmmm. I’m still too energetic and I still sound like I’m reading".

Cosa si sarà inventato ancora per non sembrare un annunciatore tv? Il pubblico all'ascolto se ne sarà accorto? Lui sì, e questo è già abbastanza, anzi molto.

Qual è, quindi, la postura che corrisponde alla nostra voce interiore quando raccontiamo una storia (e usiamo un registratore)? Ognuno trovi la sua e faccia esperimenti, ci sembra suggerire questo articolo. Ognuno sia onesto ed equilibrato, possiamo dire spingendo il discorso ben oltre i 5 o 10 o molti più minuti di registrazione. Già, perché se non suoniamo esattamente come sentiamo dentro, pur nello stupore di ascoltarci come fosse la prima volta in cuffia, restiamo con quella sensazione di fastidio, di non finito, di occasione persa che, come ogni professionista della voce sa, rischia di perseguitarti per giorni e giorni. 

Nello stesso articolo la radio producer e voice coach Viki Merrick offre in voce i suoi consigli e le sue esperienze davanti al microfono, il primo è la fase di scrittura: writing, writing as you talk. Anzi... la fase ancora prima, talk aut loud, dirsi prima a voce alta le cose che si intende scrivere.

Merita un ascolto attento e carta e penna per prendere appunti e poi... provare e darsi le proprie indicazioni per rispondere alla domana: How sound? How would you hear yourself?









 

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