venerdì 11 agosto 2017

Non siamo proprio bastardi, dai

In questi giorni di caldo afoso in città mi godo l'aria condizionata e tanti tg e talk show. L'agenda è uguale per tutti, i fenomeni migratori in testa. Il modo di trattare le notizie anche. Mi capita di saltare sulla sedia, ma poiché è il divano, sprofondo per la vergogna e l'imbarazzo.

A volte sono le parole straniere pronunciate male, a volte il significato del nome etichetta "rifugiato", per esempio, altre volte la pigrizia di non ripetere i confini geografici, il governo di turno, cos'è la Convenzione di Ginevra del 1951, per esempio.

Mentre mi accaloro nonostante il fresco artificiale, ritrovo un pezzo letto su transom.org l'iniziativa della radio pubblica americana che raccoglie, online e offline, idee, tecniche e persone che fanno radio e più ampiamente condividono nuove e originali audio storie.

Il pezzo si chiama Despair, Inherited e a prima lettura potrebbe essere un fuori tema rispetto alle migrazioni e ai miei sprofondamenti sul divano. E' infatti sulla "postura" da tenere quando si ha a che fare con un tema difficile come può essere senza dubbio il suicidio: quale relazione attivare con chi sta raccontando la propria esperienza al microfono? Come non urtare la sensibilità eppure far emergere la realtà? Come mostrare e ricevere fiducia?

"You’re allowed to be vulnerable. You’re allowed to make mistakes. There’s a good chance you’ll be able to fix it if you mean well. And, as Ira Glass reminded us in class: You’re not bastards!"

Continua l'autrice dell'articolo Catarina Martins, ricordando quello che le hanno insegnato al Transom Story Workshop nella primavera del 2015: "We’re compassionate, empathic human beings and we have a chance to honor our characters".

Che sospiro di sollievo, si può essere empatici pur mantenendo alta l'attenzione alla storia che si sta svolgendo nelle nostre orecchie e di cui diventiamo custodi e annunciatori. Grande responsabilità.

Sarebbe bello vedere nei brevi servizi confezionati col cellophane l'incertezza di un attimo, la parola di scuse, il giornalista che ci regala qualche secondo di umanità e speriamo glielo lascino fare. Aspettiamo anche di ascoltare un linguaggio appropriato, le scuse quando si esagera o si fanno errori, la ricerca della verità come campo aperto anche da parte di chi conduce tg e talk show nei freddi studi televisivi con l'aria condizionata fra capo e collo. Anche se scorrono già i titoli di coda. L'empatia è pure quella con chi sta a casa sul divano.




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