giovedì 31 ottobre 2013

L'officina bella e la protesta della gente della GDO

La foto qui sotto non rende giustizia alla colorata e ordinata officina meccanica di via del Porto Fluviale a Roma.

Oggi pomeriggio passeggiavo da quelle parti e sono stata attirata dal celeste del mobile che mi sembrava quello della nonna, di mia nonna. Contiene ed espone i ferri del mestiere, che per ciascun mestiere mi riempiono di orgoglio come se li maneggiassi io. Poi è uscito il proprietario, proprio poco prima dello scatto, gli ho chiesto il permesso di fare una foto e lui mi ha detto: "Un'altra? E' da quando ho ristrutturato e riverniciato che passano, si fermano, fanno le foto".




E' perché il bello e buono piace, ci attira ancora, non vogliamo rassegnarci a ciò che è ovvio.

Nel frattempo a viale Marconi i lavoratori della SMA Simply protestavano per la chiusura di tre supermercati.




sabato 26 ottobre 2013

Perché rispondiamo al telefono

Rispondiamo al telefono perché siamo educati, perché siamo curiosi, perché ci stiamo annoiando, perché "una telefonata salva la vita", almeno fino all'attimo prima di riceverla. Poi succede che ci annoiamo, che la curiosità non ricordiamo di averla avuta, che diventiamo perfino maleducati.

Nell'articolo di Michela Proietti sul blog La 27esima ora del Corriere della Sera vengono tracciate ipotesi e certezze sul perché non rispondiamo più al telefono, e spesso questo dipende dall'investimento emotivo e temporale che vogliamo evitarci, sovraccarichi come siamo di stimoli comunicativi.
Non è solo lo smartphone a dover essere ricaricato più volte al giorno, aggiungo io, ma il nostro cervello soprattutto. Solo che il cervello, anzi l'intero fisico, vorrebbe essere ricaricato in altro modo.

Nella settimana appena passata io l'ho fatto indossando la tuta e correndo nel parco vicino casa. Niente di serio e tanto sudore, poco allenata ma decisamente felice di avere problemi col cellulare e anche senza averli di lasciarlo a casa preferendo il prato. Sconvolta quando l'ho riacceso e da un posto lontano della mia città colleghi e colleghe d'ufficio mi gridavano scandali, power point, password e presunti amori. Insomma tragedie. Lo stesso facevano amici e familiari: dove sei? cosa è successo?

Insomma, cosa dobbiamo fare? Ho passato il pomeriggio a copiare su un'agendina di carta i numeri di telefono recuperati, mi faceva male la mano ma ho seguito il consiglio del mio amico tedesco vecchio stile: "Comprati un block notes, la carta dura 100 anni almeno, ogni scheda elettronica 10 anni se va bene". L'idea di essere uscita di scena mi piaceva, però. Vediamo come mi cercano e chi lo fa per davvero, incurante di perdere per strada contatti importanti. Un brivido di eccitazione, questo tentativo non voluto ma necessario di isolamento e recupero di energie.

Devo ammettere che a me la conversazione telefonica non è mai piaciuta, né col vecchio e pesante telefono - a casa ho il modello antico a disco, senza display, senza segreteria e per questo ogni telefonata è una sorpresa, anche se riconosco i suoni dei numeri affezionati - né col più piccolo e leggero cellulare o smartphone onnicomprensivo. Anche se la voce è un fatto intimo e già dice tanto, ho estremo bisogno di passare alla vista, soprattutto se una persona la conosco già e voglio toccarla e annusarla. Voglio cioè sentirla vicina, altrimenti non la chiamo neanche, non rispondo al telefono, non ricopio il suo numero sull'agendina di carta.

Ecco, rispondere o meno al telefono è tutto qui: per qualcuno ci sono sempre e in qualsiasi modo lo ricerco, per qualcun altro resto in tuta tutto il giorno a correre nel parco, senza fiato ma finalmente libera. L'ho fatta troppo facile?


sabato 19 ottobre 2013

Suoni e luci del lavoro

Queste sono alcune foto della protesta di oggi a Roma.
La mia è una città che accoglie, le proteste civili e sacrosante, così come la violenza dei violenti che s'infiltrano e distruggono, così come l'indifferenza di chi sta alla finestra e vuole che niente cambi. Riuscirà a mai a scegliere una volta per tutte se dormire o svegliarsi dalle fatiche quotidiane? Riuscirà a non essere solo una piazza ma un centro davvero pulsante di iniziative belle?

Propongo per Roma un'altra forma di protesta che passa per la bellezza.
Lo faccio con le foto dell'artista canadese Patrick Rochon che ho visto in azione all'evento TEDxtrastevere di mercoledì scorso. 

Ho catturato i suoni del suo lavoro, perché come lui dice "To me, light painting is an expression of our true selves. Through science, we now know that our bodies emit light. So in a way, we've been and are constantly light painting, leaving a trace of light behind". Ma siamo anche suoni;-)



martedì 15 ottobre 2013

Il fischio del merlo

Italo Calvino
"Presupposto di questi scambi verbali è l'idea che una perfetta intesa tra coniugi permetta di capirsi senza star lì a specificare tutto per filo e per segno; ma questo principio viene messo in pratica in modo molto diverso dai due: la signora Palomar s'esprime con frasi compiute ma spesso allusive o sibilline, per mettere alla prova la prontezza del marito e la sintonia dei pensieri di lui con quelli di lei (cosa che non sempre funziona); il signor Palomar invece lascia che dalle brume del suo monologo interiore emergano sparsi suoni articolati, confidando che ne risulti se non l'evidenza d'un senso compiuto, almeno il chiaroscuro d'uno stato d'animo".

Lo scriverei tutto per filo e per segno, Il fischio del merlo, capitolo sul paesaggio sonoro, rapporti di coppia, silenzio e parola in Palomar di Italo Calvino. Che oggi avrebbe compiuto 90 anni, buon compleanno.



venerdì 11 ottobre 2013

Scuole di facciata

La prossima settimana partecipo a TEDxtrastevere, occasione di incontro e ascolto su idee legate al tema dell'acqua risorsa vitale. L'evento segue le famose TED talk, le chiacchierate argute e motivanti di esperti e appassionati di vari settori, non più e non solo Technology, Entertainment, Design.

Ecco, caso mai uno si chiedesse se ho paura e temo di non essere all'altezza. Risposta, ho paura e temo di perdermi per strada anche se la strada la conosco, è al centro di Roma, conservo i suoni che la caratterizzano.

Senza anticipare nulla, ché le sorprese mi piace riceverle e anche farle, e soprattutto perché il programma non è ancora uscito, accenno solo che parlerò di scuola e di ascolto e di un'esperienza particolare di ascolto a scuola.

Forse proprio perché sono concentrata su questi temi, stamattina andando al lavoro non ho potuto fare a meno di osservare con ancora più attenzione del solito le scuole che stanno sul mio percorso: quattro di cui una elementare, due istituti tecnici, un liceo mi pare linguistico. Tre di periferia, una frequentata da Suv. Tutte e quattro sono brutte, soprattutto i casermoni grigi dei due istituti tecnici: sono già bravi i ragazzi a decidere di entrare ogni mattina in quello che sembra un carcere con le sbarre alle finestre e mi stupisco che non ci siano scritte e disegni a dargli un po' di colore. Peccato non aver fatto una foto.

Poi mi ha attraversato davanti un ragazzino assonnato con le cuffiette nelle orecchie: ho approfittato delle strisce pedonali per non farmi gli affari miei e dalla macchina incitarlo ad andare a scuola con più energia, chissà se il gesto sarà stato interpretato bene, oso dire di sì. Perché il ragazzino stava entrando in una scuola più bella, la quinta nel mio viaggio casa-lavoro, e delle facciate tinteggiate, del giardino con le piante e qualche fiore devi essere grato, contento, felice e ringraziare.

"Non garantiamo che al termine di TEDxTrastevere il pubblico sia totalmente soddisfatto, non è questo il nostro obiettivo. Siamo alla ricerca di idee, di storie che possano ispirare nuovi progetti, capaci di trasformare positivamente diversi scenari del mondo contemporaneo, secondo lo spirito del TED".

Quasi quasi cambio il tema del mio intervento e parlo delle scuole che hanno rinunciato ad avere una faccia ma si accontentano di una facciata, brutta (e parlerei delle scelte e non scelte scellerate sulla scuola da molti anni a questa parte). Mi auguro che là dentro, comunque, insegnanti e studenti facciano succedere cose belle.



giovedì 3 ottobre 2013

Il suono dell'attesa

Finalmente lo posso rendere pubblico, il mio primo "cortoascolto" che è sbarcato a Berlino la scorsa settimana e che nel frattempo avevo preparato anche in italiano. Ma ci tengo a dire che se il testo è nato  in italiano - diamine, come si fa a tradire già nel pensiero la propria lingua madre? - la confezione dell'opera è tutta tedesca: il ritmo della musica, lo stacco tra le parti, la necessità di un "lieto fine" già per questo provocatorio, le parole e la voce che ce le racconta.

Di cosa parla? Es geht um die Erwartung... gira intorno al senso dell'attesa, che non per forza coincide con l'incertezza tratto tipico della realtà moderna. L'attesa al contrario può essere la salvezza proprio dall'incertezza e dalla precarietà se viene riempita di senso da scovare e da non dimenticare quando, oppure se, giunge a un termine.

Che suono ha l'attesa, dunque? Es hängt davon ab, dipende. Ognuno ha la sua, ognuna ha il suo.
Ecco, entrambe le versioni sono ora su soundcloud.com:


E grazie a chi ha aspettato con me: Christoph Hülsen, la voce tedesca; Andrea Martella, la voce italiana; Sergio De Vito, la musica.





mercoledì 2 ottobre 2013

A scuola di ascolto

Dunque, dalla trasferta di Berlino mi porto dentro la luce particolare della città in cui faceva freddo ma le cuffie mi hanno riscaldato abbastanza. Mi porto dietro anche l'improvvisata spiegazione che ho dato a un pubblico attento e curioso del mio tedesco sulle diverse abitudini di ascolto fra Germania e Italia. Qui in Italia chi di noi racconta ai bambini le storie, compra e ascolta audiolibri, partecipa il sabato sera a festival come il Berliner Hörspielfestival? In Germania succede, il genere esiste, le radio ci investono. Non che voglia fare un confronto che arrivi a far aumentare lo spread, sia mai, ma i punti interrogativi italiani di fronte alle pratiche di ascolto nella Germania in cui sono stata sono al più punti esclamativi, solo questo.

E allora torno a Roma, riassaporo il caldo, sui mezzi pubblici incontro le facce dei ragazzi che vanno a scuola e a cui capita di incontrare anche loro, i Piccoli Maestri. Beati loro, gli scrittori che vanno in classe a leggere il libro del cuore per far nascere la passione della lettura, beati i ragazzi che ricevono il dono comunque vada a finire, beati i maestri stessi, cioè gli insegnanti che aprono il programma didattico ad altro che è la base del programma stesso.

"Ognuno di noi ha scelto un libro che ama, quello dal quale magari tutto è partito, quello che ci ha fatto capire che stavamo sbagliando tutto, quello che per la prima volta ci ha fatto domandare «chi sono io?». O molto più semplicemente il libro che più ci ha fatto ridere, o piangere, o saltare sulla sedia".

Ecco, copio dall'articolo di Emilia Zazza sul Corriere di ieri la spinta a entrare in classe, ognuno ha la sua e non per forza il suono è quello della campanella, e partecipare alla costruzione della propria identità e di quella degli altri. Loro saranno pure beati ma si danno da fare per sé e per gli altri, forse sono beati proprio per questo. 

In questo inizio di ottobre e dopo le prime settimane di scuola tanto vale dircelo subito se siamo disposti a impegnarci per far emergere passioni e speranze, a dispetto di chi ci vuole guerrieri o scansafatiche.