lunedì 31 dicembre 2012

Rita e Damini, due donne

Il 30 dicembre è morta la senatrice a vita Rita Levi Montalcini.

Sentite come fanno ironia le due parole giustapposte, vita e morte? Se togliamo la carica ed evitiamo la sequenza resta il fatto che ci restituisce la persona. Una persona che aveva 103 anni, che aveva vinto il premio Nobel per la medicina, che aveva scelto di non sposarsi per dedicarsi alla scienza.

Il 29 dicembre è morta la studentessa di 23 anni brutalmente violentata due settimane prima a New Delhi. Damini, il soprannome scelto per chiamarla e che significa luce, illuminazione, studiava medicina e stava per sposarsi.

Politici e personaggi dello spettacolo stanno imparando a usare Twitter, da cui mandano a dire che #ritamontalcini è stata una donna straordinaria, un orgoglio per l’Italia, un esempio di dedizione e passione per la ricerca. E altro ancora.

Chissà quale pensiero, ricordo, intuizione avrà (avrebbe) avuto Rita quando ha appreso della notizia della studentessa indiana che non ha potuto realizzare il sogno di una professione e di una famiglia, lei che contro il volere del padre si era iscritta all’università, si era rifugiata a Bruxelles a causa delle leggi razziali del governo fascista, lei che è riuscita a essere tenace.

“Il futuro del pianeta dipende dalla possibilità di dare a tutte le donne l'accesso all'istruzione e alla leadership. È alle donne, infatti, che spetta il compito più arduo, ma più costruttivo, di inventare e gestire la pace”, diceva la scienziata.

Sempre compiti di responsabilità, quelli delle donne, assunzione di scelte importanti anzi vitali, il coraggio di aprire la bocca e dire “Voglio vivere”, come ha fatto Damini ma poi non ce l’ha fatta e “Quando muore il corpo, sopravvive quello che hai fatto, il messaggio che hai dato”, profetica e inconsapevolmente beffarda Rita Levi Montalcini.

Eppure, nonostante i tweet più intensi, i ricordi personali, le proteste e le marce, il premio Nobel, c’è strisciante anche nelle nostre case, nei nostri uffici, tra i nostri amici la paura di non trovare l’applauso delle donne, di ascoltare i motivi di un no, di accogliere una sofferenza in silenzio. C’è, anche da parte delle donne, la paura di fare i conti con la sanzione sociale che, volutamente sorda a discorsi che incitano a “tirare fuori le palle”, “mostrare i muscoli” e “sfogarsi a casa per una giornata di lavoro pesante”, non perde mai la voce per gridare alla donna sola se non vince il Nobel, corresponsabile del suo delitto se porta la minigonna, rivoluzionaria se legge i libri e il part time non sa cosa sia.

“Addio a Rita Levi #Montalcini che ha puntato tutto sulla parte più bella delle donne: il cervello”, dice un tweet al femminile. Non sono d’accordo, perché non mi va di considerare le mie gambe, i miei occhi e tutto il resto cose diverse dal mio cervello, visto che viaggiano insieme e li conosco da tanto tempo. Non mi va, per questo, di fare confronti con gli uomini, perché con loro sto bene e li rispetto. Non ho bisogno di mostrare nulla né di dimostrare niente.

Le donne che leggono sono pericolose, era il titolo di un bel libro di Stefan Bollmann e Elke Heidenreich di qualche anno fa, che raccontava la storia della lettura femminile nei secoli attraverso dipinti, disegni e fotografie di donne lettrici. Nella prefazione Daria Bignardi scriveva: “Le donne che leggono sono pericolose perché non si annoiano mai e qualunque cosa accada hanno sempre una via di fuga: se ne infischiano se le fai troppo soffrire perché loro s’innamorano di un altro libro, di un’altra storia, e ti abbandonano. Le donne che leggono sono pericolose perché nutrono i loro sogni e non c’è nulla di più rivoluzionario di una donna che sogna di cambiare la propria vita: se lo fa, farà la rivoluzione, se non lo fa seminerà il terrore”.

Dunque, visto che sempre su Twitter Fabrizio Roncone risponde al sindaco di Roma #Alemanno: "Ho visto la camera della #Montalcini. Era piccola e piena di libri...". Già, signor sindaco, i libri”, auguro a tutti un 2013 pieno di libri, pieno di donne pericolose, pieno di uomini coraggiosi. Perché la rivoluzione non si fa da sole e quando sei abituata a condividere non torni più indietro.



sabato 29 dicembre 2012

L'uomo artigiano, musica dalla discarica

Be', un po' sfaticata lo sono, in questi giorni di vacanza in cui continuo a lavorare fino alla fine dell'anno, ma manca poco, in cui c'è ancora la corsa a fare cene, incontri e aperitivi come se ai Maya credessimo ancora, chi lo ha fatto, e in cui le sorprese, per chi le sa riconoscere, stanno dietro l'angolo.

Il violino, Landfill Harmonic
E da sfaticata lascio un link senza commento, mi piace è solo quello che dico. Se vi piace, condividete e andate a cercare altre informazioni in rete e tra gli amici;-)

Landfill Harmonic: musica, riscatto, progetto.

giovedì 27 dicembre 2012

Storie di Natale

A Natale segnalavo Cowbird, la piattaforma che raccoglie brevi storie fatte per durare: un'immagine, un breve testo, a volte il racconto audio di un'esperienza che resta e diventa memoria. Dicevo qui che ognuno può scegliere il racconto della realtà che più lo ispira e goderselo in questo sito che costruisce una memoria collettiva di porzioni di realtà regalate dagli utenti.

Oggi segnalo le storie di Natale che lo stesso sito ha raccolto per noi: http://cowbird.com/tag/christmas/stories/beloved/mosaic/

Spesso frammenti di vita familiare, poche a dire il vero con l'audio, le storie di Natale sono in inglese ma si capiscono facilmente e viene voglia di iscriversi e sperimentare la narrazione multimediale collettiva;-)



martedì 25 dicembre 2012

Un sonoro Buon Natale

E insomma non sapevo cosa regalare ai lettori di Parole in cuffia per Natale. Non volevo altre parole scritte ma solo suoni, però volevo anche delle storie, magari semplici semplici. E visto che come al solito non ho fatto in tempo a raccoglierle io, le storie che ho in testa e che incontro per strada, sono andata sul sito Cowbird.com, ne ho ascoltate alcune e ora ve le segnalo tutte. Non mi va di scegliere il giorno di Natale, fatelo voi:-)


No matter if they are all in English: sounds will help you to grasp the truth inside all the listening words. And it's not a kind of magic!

Vai su Cowbird.com, scegli Search e clicca sull'icona microfono, poi lasciati ispirare dall'immagine, dalle prime righe della storia, dal numero delle persone a cui già piace quello che hanno ascoltato.

Buon ascolto e buon Natale.

sabato 22 dicembre 2012

Car le documentaire est un projet

Nel giorno dopo le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Monti e in cui a Berlino il ministro per la Famiglia Kristina Schroeder propone di usare l'articolo "das" e il pronome "es" per indicare e parlare di Dio - in italiano suggerirei di nobilitare il romano "er" a questo scopo - a me piace rileggere i consigli per realizzare un buon documentario sonoro che il responsabile di Art Radio Silvain Gire ha scritto qualche tempo fa.
Lui li chiama paradossi, e il primo è sicuramente la realtà, "Le réel est une illusion soluble dans l'alcool". Il Manifesto è in francese, ma la lettura è facile. Più difficile è realizzare un documentario. Perché?


"Car le documentaire est un projet. C'est-à-dire un point de vue, une narration, une mise en scène, un dispositif d'enregistrement, une situation construite. Avec parfois des personnages".


"Perché il documentario è un progetto, cioè un punto di vista, una narrazione, una messa in scena, una registrazione, una situazione costruita. A volte con dei personaggi.

Questo il link al documento per esteso:
http://www.arteradio.com/blogarticle/7/10_paradoxes_du_documentaire_sonore_/

mercoledì 19 dicembre 2012

Sorridi, sei un leader

Il fatto pubblico: Sorridere sì, ridere un po' meno. Non proprio mai, ma con moderazione e "senza giusta causa" può essere motivo di crisi, magari soltanto interiore, che è la peggiore. Parliamo dell'atteggiamento di essere leader, dell'atteggiamento verso il ruolo e dunque dei comportamenti corrispondenti. Su Linkedin un sorridente Neep Nishar, "senior Vice President, Products & User Experience del network che gestisce la rete di professionisti di tutto il mondo, spiega che per essere un buon leader bisogna tornare a essere umani, cioè mostrare le proprie emozioni nel caso.

Non cita nessuna ricerca ma inizia con un fatto personale, il momento della sera quando sfoglia i vecchi album di foto insieme alla figlia che una volta gli ha detto: "Papà, dovresti sorridere di più".
Ottimo comunicatore e storyteller, sintetico ed efficace: il fatto privato, molto umano, e se fosse anche molto analogico (gli album di foto su carta) non mi stupirei neanche. 


Il fatto privato
: Che strano leggere questo breve articolo di prima mattina, quando proprio ieri sera un mio amico e collega mi faceva notare quanto io sul lavoro metta tanta passione insieme a troppa emotività: c'è bisogno di maggior distacco e lucidità per analizzare le situazioni, prendere decisioni, trovare e proporre soluzioni. Per la prima volta gli ho dato ragione perché la riflessione di Nishar la facevo mia ancor prima di leggerla, perché per me è più facile condividere gioie e preoccupazioni che trattenerle, perché ho la presunzione di poter mettere insieme i consigli dell'amico con quelli dell'esperto su Linkedin ed essere pienamente Alessia:-)


domenica 16 dicembre 2012

Questioni di carattere

Un giorno dopo il consueto appuntamento del sabato, raccolgo qualche riflessione su qualche fatto della settimana che mi riguarda. Potrei sintetizzarla così, lettering vs calligraphy. Più chiaramente, vado in tipografia vs scrivo a mano. Dove tipografia vuol dire usare il computer;-)

Durante un pranzo coi colleghi che sviluppano app, mi trovo a prendere la mano di uno e a darle il giusto verso rispetto al tavolo-scrivania, al vassoio-foglio con gli gnocchi, alla forchetta-penna che impugna affamato. Mi guarda atterrito e mi confessa che non sa scrivere, che non scrive più, a mano. E che, se capita e se deve, usa lo stampatello. Gli fanno eco i colleghi che hanno già mangiato il primo gnocco: non si parla con la bocca piena, non si scrive solo al pc o al mac.

E io vorrei insegnare loro quello che ancora non conosco ma che non ho mai perso: scrivere facile, non solo nel senso, ma prima di tutto nel tratto. Non prima il contenuto, ma di nuovo la forma, la grafia cioè. Così gli appunti dell"informatico evoluto" saranno un corsivo chiaro, facile e ben ritmato, e un regalo a chi li leggerà per poi trasformarli in altro. Così racconto il laboratorio di Monica Dengo Il potenziale creativo della scrittura a mano, a cui ho partecipato lo scorso novembre a Roma e di cui ho parlato qui.

Copertina dell'album del 2000
All that you can't leave behind, U2 

Seconda scena, per un video dedicato all'innovazione mi chiedono quale font sia meglio usare. La risposta non può essere una, bisogna immergersi nello spirito del video, immagini e testi compresi e anche nella voce off che s'è scelto di usare. Si può procedere anche per contrasti: per esempio frizzante la voce off, grave il carattere.
Scegliamo l'Eurostile. Il fatto che l'abbiano scelto  gli U2 prima di noi, per la copertina dell'album All that you can't leave behind del 2000 mi rinfranca: del resto, non si può guardare avanti senza prendere qualcosa da dietro. E' un carattere robusto, solido, tecnico e l'azienda per cui realizziamo il video lo è.

E' stata una scelta difficilissima, sicuramente non perfetta, immersa in tante altre questioni che mi fanno ancora una volta convincere quanto sia necessario l'ascolto del contenuto che esprimiamo per trovargli quella forma che gli consenta di stare bene da solo e con gli altri, un po' come capita a noi nei diversi contesti in cui ci muoviamo, no?

E anche in questo caso la scrittura a mano avrebbe aiutato a trovare l'ispirazione e la font giuste, il vero carattere innovativo;-)




martedì 11 dicembre 2012

Il paratesto delle radio

Il fatto pubblico: Leggo da un tweet di Andrea Borgnino di RadioRai che all'università di Roma è nata una nuova webradio, si chiama Radio Allarme e giovedì alle 17.30 all'aula 5 di san Pietro in Vincoli (quindi Facoltà di Ingegneria) lo stesso Borgnino per la seconda puntata parlerà di webradio.
E io che faccio? Guardo la tagline del sito "gira la manopola, alza il volume, fatti sentire" e le immagini del blog che rimandano all'oggetto radio analogica, a un tempo in bianco e nero, alla lotta. E penso che nonostante i suoni siano ormai usciti da quell'oggetto funzionale e romantico, proprio l'infanzia di quell'oggetto noi continuiamo a portarci dietro, e dentro. E per questo non metto nessuna foto a questo post:-)

Il fatto privato: Giovedì vorrei staccarmi dai font e dalle font quotidiani e andare ad ascoltare dal vivo la puntata, riuscirò? Vorrei anche esaminare con più calma le tagline delle nostre e della altrui radio, in fondo la promessa di un buon ascolto passa anche da lì.

sabato 8 dicembre 2012

Post celebrativo ma autentico

Inizio la settimana appena passata con una discussione sulla comunicazione dei due candidati premier del Pd, Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Non scrivo quello che covo da un po' di tempo e per questo linko sui social network direttamente le riflessioni della semiologa Giovanna Cosenza, questa su Renzi e questa su Bersani. Apriti cielo, bastano due link per passare come reazionaria tra i rivoluzionari. Continuo proponendo a un'associazione di cui faccio parte un contatto e una proposta proveniente da un'emittente radiofonica cattolica. Apriti cielo anche qui, prima dei commenti seri professionali arrivano quelli che mi parlano di ateismo, di nuovo di reazione, e di orrore verso chi non riconosce la libertà di esprimersi. Nel frattempo il Papa se ne va su Twitter.

Nel frattempo in ufficio, per tutti i giorni fino a oggi, sono impegnata con le riprese video di un'iniziativa di comunicazione interna che mi mette in contatto con nuove figure professionali chiamate per l'occasione: regista, assistente di scena, attori e attrici che sono colleghi di altre funzioni e altre città. Scopro in diretta quanto valga l'autenticità. Mi spiego, scrivere in azienda significa scrivania e computer, raccolta ed elaborazione di informazioni, puzzle di pezzi di testo tanti e diversi. Significa stare fermi e concentrati per ore. Io però vivo il ruolo in maniera dinamica, bussando di porta in porta se manca qualcosa, qualcosa non è chiaro, solo per un saluto all'improvviso. Sul "set" ho potuto fare di più: copione alla mano, mi sono messa al servizio delle scene, degli attori, dei tecnici, cercando di dare continuità col lavoro di ogni giorno anche se questo è stato diverso.

Se ne sono accorti, capi e collaboratori ed esterni. Si sono accorti che nonostante io non parli di passione sul lavoro - i motivi stanno in parte ancora in un post di Giovanna Cosenza ("Analfabetismo emotivo, ovvero: che cos'è una passione?", cercate nel motore di ricerca interna al suo blog) - mantenga quella linea di continuità tra attività diverse che a volte mi capita di svolgere, passi con disinvoltura dalla scrivania alle interviste in altri luoghi di lavoro, al set, alle riunioni importanti, quando mi brillano gli occhi e riesco perfino a svegliarmi presto vuol dire che dentro quel lavoro ci sguazzo come una bambina nella prima pozzanghera che conosce.

E da "frizzantina" consiglio all'associazione un approccio laico alla comunicazione e agli amici pro e contro Bersani e Renzi offro l'aperitivo per continuare a discutere;-)





domenica 2 dicembre 2012

Le vie del lavoro, storie in audio e non solo

Il fatto pubblico: Dunque, Timu in Swahili significa team, squadra. Timu è la piattaforma web della fondazione <ahref che vuole condividere storie di persone e temi utili per la comunità. Fra questi il lavoro, la scuola, l'immigrazione, i quartieri, l'innovazione. Chiunque può partecipare inviando contributi audio, video, testuali e fotografici.

"La principale caratteristica dell'informazione che sta su timu è quella di condividere un metodo di ricerca".
Per me interessante è la sezione Le vie del lavoro in cui diversi autori raccontano, ognuno a proprio modo, la realtà del lavoro che cambia e che non è solo o tutta brutta e difficile.
Potete scegliere qualsiasi storia su Le vie del lavoro, sono tutte belle. Io ho scelto le testimonianze raccolte da Cinzia Massa a Cristina e Agata, due storie operaie.

Il fatto privato: E' tempo di scaldare le cuffie e riaccendere il registratore, staccarsi dal pc e tornare per strada a camminare e incontrare le persone e le loro storie.


sabato 1 dicembre 2012

Trepidanti nell'attesa

Domani è la prima domenica d'Avvento, tempo che prepara nascite. Tempo quindi di trepidazione e d'attesa. Alzi la mano chi non sta nella pelle per qualcosa di grande e di bello che accadrà pur non sapendo cosa. Temo che le mani siano davvero poche.

Tempo delle donne, alla fine. E pure loro scrivono su Facebook che si avvicina il Natale, festa infernale. "No, invernale", ho detto a un'amica, "mi sa che t'è scappata una lettera". No, non le è scappata nessuna lettera, il Natale proprio non le piace, perché non le piace l'Avvento, perché sente anche lei la trepidazione che qui nel mondo abbiamo trasformato in traffico intenso nella capitale e saldi prima o dopo le feste. Però non sa cosa farci.

Un mio amico vorrebbe le prove scientifiche per sapere se deve trepidare anche lui oppure no, aspettarsi qualcosa che cambi la sua vita oppure no, e per questo si muove lento e pesante, eppur si muove anche lui, non può fare a meno di provare sulla pelle e sulle ossa la gravità di un evento che si prepara anche se non lui non parteciperà.

Eppure abbiamo così bisogno di partecipare. E quindi di attendere trepidanti. E sì, di avere anche timore, come l'etimo della parola suggerisce. Ma è un timore che fa parte del gioco, vorrei averne sempre uno e pure di più quando aspetto i risultati di un esame, prima di parlare in pubblico, sotto casa della persona che amo, prima della festa, insomma.

Ci sono tante nascite, quella dell'Avvento è solo una però ne contiene tante.
La nascita di un amore, di un partito, della Costituzione, di un'associazione, di un progetto, di un bambino: iniziano sempre da un tempo di attesa, da tanti momenti di sconforto, da trepidazione, portano con sé delusioni da mettere in conto, energia e fatica. Liberazione.

E poi quando siamo trepidanti siamo più belli, con lo sguardo rivolto al futuro e il corpo immerso nel presente più concreto.

E per sparigliare un po' le carte ricordo il discorso del direttore di La Stampa Mario Calabresi al Working Capital Camp di Torino, l'8 luglio 2009 a proposito di Innovazione. E non solo.